Perché un dialogo sull'islam con i giovani musulmani italiani è tutt'altro che scontato

Guido Salvini
Che cosa insegna il caso del dibattito sull'islam nell'istituto tecnico milanese raccontato dal Corriere a chi pensa che sia facile parlare di Stato islamico e Corano con le nuove generazioni di islamici nati nel nostro paese.

Dopo l’eccidio di Parigi – simili stragi di civili sono per gli jihadisti, con le debite proporzioni per ora, ma solo per ora, quello che erano le camere a gas per i nazisti – e la sensazione dell’avvicinarsi a noi del terrorismo eliminazionista di massa abbiamo letto centinaia di articoli di commentatori e di “esperti”, talvolta utili, spesso però autoreferenziali, ripetitivi,  superflui.

 

Molto più di tutti questi interventi dotti mi ha però colpito e spiegato molte cose la cronaca di un evento all’apparenza minore. E’ il resoconto pubblicato dal Corriere di un incontro all’istituto commerciale Schiapparelli di Milano di Lorenzo Cremonesi, inviato da molti anni in Medio-oriente e profondo conoscitore di quei paesi, e della sua collega Mara Gergolet con gli studenti dell’istituto. Sono iniziative proficue cui spesso, sui temi della giustizia, ho partecipato anch’io. Il tema di quella mattina era la nascita dell’Isis e le convulsioni del medio oriente,  in chiave certamente non teologica ma politica e storica.

 

Sino a un certo momento è andato tutto bene. In aula magna gli studenti, più abituati purtroppo oggi ai loro smartphone che alle discussioni, ascoltavano, al di là di ogni previsione, molto interessati e cominciavano a farsi una idea, ad esempio, con una carta geografica a vista, del conflitto secolare tra sunniti e sciiti legato alla successione di Maometto e che è all’origine della nascita dell’Isis. 

 

Poi è intervenuta una giovane ragazza mussulmana con il velo e l’articolo riporta, e non dubito che lo faccia correttamente, il senso del suo discorso. Il conflitto tra sunniti e sciiti, ha detto,  non è dinastico – chissà cosa è allora – e tutto è spiegato nel Corano, l’unica verità rivelata, non servono altri libri e comunque un cristiano non può capire la fede mussulmana e non può parlarne. La quarantina di studenti mussulmani presenti intanto la sosteneva vigorosamente con applausi. 

 

Il relatore aveva, tra l’altro, incautamente proposto ai ragazzi qualche libro sul tema del medio oriente scritto da seri studiosi – quindi secondo la ragazza libri inutili e pericolosi – e a quanto sembra egli non ha nemmeno avuto modo di spiegare, interrotto dalle urla, che il Corano almeno il conflitto tra sunniti e sciiti non lo può spiegare perché il libro sacro è stato scritto, anzi dettato a Maometto, prima. Poi gli studenti  musulmani hanno lasciato l’aula, forse sdegnati per il riferimento al Corano.

 

[**Video_box_2**]Così è andata.

 

Quella ragazza  e quegli studenti non erano certo filo-terroristi. Esprimevano tuttavia, al di là degli infingimenti, come i ragazzi sanno fare, il radicato sentire di buona parte della la comunità musulmana che abita nel nostro paese. E questo è il grave.

 

A chi usa il Libro della sua fede per chiudere ogni discussione, come ai tempi dello stalinismo si evocava, al di là di ogni atrocità, la verità indiscutibile del Partito, come spiegare che non esistono verità ultime che possano estirpare tutto quello che è stato detto prima e quindi tutto quello che può essere detto dopo ma che la verità è un sistema in continua evoluzione, come la democrazia?

 

Noi, io da laico ma anche quasi tutti i cristiani e gli appartenenti ad altre fedi siamo abituati, da ragazzi sopratutto, a mettere  in discussione e a dubitare. E’ da questo atteggiamento che nascono le società democratiche che hanno consentito lo sviluppo straordinario, con i suoi limiti e i suoi difetti, della nostra civiltà: il primato del diritto contro l’assolutismo, le conquiste scientifiche, le scienze sociali, le manifestazioni artistiche dalla musica alla pittura che nei paesi islamici sono aborrite e la libertà di credo, ugualmente aborrita.

 

E’ anche per questo che in Europa cattolici e protestanti non mettono autobombe davanti alle rispettive chiese e nei mercati frequentati dagli appartenenti all’altra confessione e che in Italia non uccidiamo i Valdesi che vivono  da noi, o quantomeno non lo facciamo da più di mille anni.

 

Visto l’argomento in discussione quella mattina, come spiegare a quella ragazza che se tra sunniti e sciiti invece tutto questo anche oggi avviene, con conseguenze sul mondo intero, qualche problema come musulmana, invece di limitarsi ad alzare il Corano, deve porselo, magari evitando di dare la colpa a qualche altro? Come affrontare qualsiasi altro argomento se già tutto, proprio tutto, è scritto in un libro?

 

Temo che quanto espresso in quell’incontro da quei ragazzi musulmani siano un sentire spontaneo e non preordinato e una verità più profonda e diffusa di quanto appaia in altre sedi. Ad esempio appaia in certi incontri interreligiosi in cui i rappresentanti di prestigio delle varie fedi, tra convenevoli vari, parlano solo di ciò su cui si è d’accordo o si finge di essere d’accordo, evitando, in modo calcolato, di parlare, di tutto il resto, del quasi tutto il resto su cui d’accordo non si è affatto.

 

C’erano, quattro o cinque secoli fa grandi studiosi mussulmani “illuministi” che avevano proposto una via razionale, quella di interpretare il Libro sacro usandolo come guida ma adattandolo ai mutamenti del mondo. Ma sono stati cancellati e anche oggi coloro che, come gli Ahmadi in Pakistan, una corrente del tutto pacifica dell’Islam e i Bahai in Iran, di origine anch’essi musulmana, propongono qualcosa di simile nei paesi islamici sono duramente perseguitati. Non è un caso ma una conseguenza in tutto il mondo del Libro.

 

Se il Corano è la precondizione di qualsiasi discussione potremo andare a parlare tutti nelle scuole ma non si andrà molto lontano. Se è impossibile dialogare anche con una “comune” diciottenne, non si farà un passo. E ci aspettano, solo gli ipocriti fingono di non riconoscerlo, tempi molto dolorosi.

 

 

Guido Salvini, magistrato

 

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