Il social network è la realtà: anche Facebook cancella i nostri ex

Simonetta Sciandivasci

Basterà cambiare la situazione sentimentale dalle informazioni personali del proprio profilo, per veder comparire una finestra che dichiarerà "take a break", costringendoci a un esame autoptico incessante, dimostrandoci che nella vita virtuale siamo res cogitans e res extensa.

Abbiamo tutti uno o più residui mnesici (in parole non psicanalitiche: traumi, ex, bienni trascorsi con l'apparecchio fisso in bocca) da rimuovere. Uno sporco lavoro che, secondo Freud, faceva l'Io, spazzando tutto nell'inconscio e trasformandolo in una bomba a orologeria. Adesso, almeno per il residuo mnesico più inquinante di tutti ovvero l'ex, ci penserà Facebook. Basterà cambiare la situazione sentimentale dalle informazioni personali del proprio profilo, per veder comparire una finestra che dichiarerà "take a break": cliccandoci sopra, compariranno tutte le misure cautelari atte a evitare di rivedere le foto delle vacanze insieme e quelle che lui o lei faranno con qualcuno che non siamo noi, i post, i suoi tag a New York mentre noi siamo a Santa Marinella.

 

La grande novità è che l'ex non se ne accorgerà: non gli verrà notificato nulla e non sarà necessario cancellarlo o bloccarlo, com'è stato finora, dimostrando così di avere il cuore infranto, di essere infantili e di non avere alcuna voglia di contrattazioni fintamente amichevoli come quella di Adele, quando cantava  “troverò qualcuno come te, spero solo nel meglio anche per te". Sappiamo bene che nessuno desidera davvero il meglio per il proprio ex e che la cosa meno indolore che gli si vorrebbe augurare è rimpiangerci a vita, supplicarci di tornare a ogni ora del giorno fino alla fine dei tempi, mentre noi, sposati con un partito da urlo, chiamiamo la questura e lo denunciamo per stalking.

 

Esisteva già KillSwitch, un'App per Android capace di fare all'incirca le stesse cose, anche se in un modo meno diretto e veloce, costringendo l'utente a una specie di exicidio metafisico, a realizzare di aver perso, di essere deboli, di cercare aiuto su un supporto virtuale per un altro supporto virtuale, come farebbe un grasso nerd infelice, destinato alla solitudine o alla sceneggiatura di una sit com americana dove a salvarsi sono i belli.

 

Finisce una storia e muore la santa voglia di vivere, il rimmel cola via con le lacrime, la casa che ha visto amore vede un uomo che muore, lui ritrova la marmellata che lei aveva nascosto per salvarlo dal diabete. Come la casa, il rimmel, la marmellata, anche Facebook ci costringe a un esame autoptico incessante, dimostrandoci che nella vita virtuale siamo res cogitans e res extensa, metafisici e fisici, uguali identici a come siamo in strada o in poltrona e abbiamo la stessa voglia di raccontarci balle, di farci chiamare vincenti, da uno zingaro o da un ex.

 

[**Video_box_2**]Quando Richard Brittain, scrittore inglese non imprescindibile, ha letto in rete i commenti negativi al suo ultimo lavoro, ne ha rintracciato l'autrice (mai scrivere il proprio indirizzo sui social network, soprattutto se si ha l'abitudine di stroncare sgabelli della letteratura che si credono pilastri), ha macinato 500 chilometri per raggiungerla e l'ha presa a bottigliate in testa. Un rovesciamento di "Misery non deve morire" (uscito nel 1990, quindi ante internet), il romanzo di Stephen King in cui una lettrice accanita rapisce e tortura il suo scrittore prediletto, reo di aver fatto morire l'eroina dei suoi romanzi. La fantasia supera la realtà perché ne è il motore, altrimenti Ulisse sarebbe invecchiato addestrando Argo. Il virtuale è un nome della fantasia e la fantasia è uno strumento della realtà, per la realtà: smettere di attribuire autenticità alla passeggiata al parco e inautenticità alla chat sarebbe un grande passo verso la lucidità mentale. Perpetriamo questa scissione, salmodiamo sul fatto che Google non sarà mai la Treccani e che sulla persona che incontriamo alle poste abbiamo molto più controllo che su quella che incontriamo su Tinder, perché non riusciamo ad ammettere, come ha scritto Suzanne Moore sul Guardian (http://www.theguardian.com/commentisfree/2015/nov/11/dont-think-youre-superior-to-me-because-youre-not-on-facebook?CMP=share_btn_tw), che i social media non sono un binario opposto alla realtà: sono la realtà. E li usiamo per incontrare qualcuno da amare, per dimenticarlo, per perseguitarlo, per nascondere il nostro orgoglio e la nostra piccolezza perché è esattamente quello che facciamo ogni giorno, vivendo.

 

Uno strumento, secondo Heidegger, ha il carattere del rimando, cioè non dice qualcosa in sé, ma racconta molto di chi lo impiega: intervenire su uno strumento (cancellarsi da Facebook, tornare al Nokia, tornare alle palafitte) non ci cambia di una virgola. Si può intervenire su chi lo usa: è dal reale che si deve partire per migliorare il virtuale e non il contrario. Non riempiremo il mondo di brave persone, nemmeno dotandole di app per i buoni sentimenti.

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