Una scena di Inside out

Da “Inside Out” a “Star Wars”, la cultura si è disneyzzata (e non è un male)

Eugenio Cau
La Disney è una potenza nell’industria dell’intrattenimento da sempre, capace di espandersi in campi lontani dai cartoni animati, come i parchi a tema o la televisione tradizionale. Ma negli ultimi anni il suo dominio è diventato così forte che ormai la Disney è rimasta da sola, insieme a un’altra major, la Universal, a decidere quali saranno i cartoni animati che tutti i bambini del mondo vorranno vedere.

Roma. Walt Disney ha colonizzato l’immaginario occidentale molti decenni fa. I suoi personaggi sopravvivono alle generazioni e alle crisi economiche, e i bambini ricordano Cenerentola, disegnata per la prima volta quasi ottant’anni fa, come gli adulti sanno a memoria i nomi di tutti i personaggi dell’ultimo film Pixar. E come colonizzatore dell’immaginario, la Disney è una potenza nell’industria dell’intrattenimento da sempre, capace di espandersi in campi lontani dai cartoni animati, come i parchi a tema o la televisione tradizionale. Ma negli ultimi anni il suo dominio è diventato così forte che ormai la Disney è rimasta da sola, insieme a un’altra major, la Universal, a decidere quali saranno i cartoni animati che tutti i bambini del mondo vorranno vedere e i blockbuster per adulti che guadagneranno centinaia di milioni di dollari, e ieri sul Washington Post Drew Harwell ha espresso la preoccupazione che i due imperi di Disney e di Universal si stiano trasformando in un monopolio culturale.

 

“Inside Out” e tutti i film della Pixar, il nuovo, pompatissimo “Star Wars”, “Indiana Jones”, “The Avengers” e tutti i supereroi Marvel, “Jurassic World”, “Frozen”, “Fast and Furious”. Scegliete uno qualsiasi dei blockbuster e dei grandi brand cinematografici recenti e futuri e scoprirete che le major che li hanno prodotti sono solo due, Disney e Universal. Le due case di produzione negli Stati Uniti hanno fatto il 90 per cento degli incassi dei dieci migliori film al box office di quest’anno, e in Italia, per esempio, la situazione non è molto diversa. Nonostante la presenza dell’industria cinematografica nostrana, Disney e Universal hanno prodotto sette dei dieci film di maggior successo del 2015 in Italia, e hanno ottenuto quasi il 75 per cento degli incassi. Ma l’estensione dei due imperi non si limita a questo. In America Disney possiede Abc, canale televisivo generalista e di news, ed Espn, importante canale sportivo, che trasmette i grandi eventi internazionali. Abc trasmette programmi come “Good Morning America”, lo show del mattino più visto nel paese, che spesso, grazie alle “sinergie” interne alla major, rinfocola l’attesa per l’ultimo “Star Wars”, portando, scrive il WaPo, la capacità di espansione della macchina promozionale Disney a livelli mai visti prima. Comcast, che è la compagnia madre di Universal, possiede la Nbc e altri canali, e il meccanismo di autopromozione è lo stesso. Le due società gestiscono i 12 parchi a tema più visitati d’America, e i loro imperi mediatici si estendono ancora oltre. Molte delle popstar che dominano le classifiche internazionali sono almeno all’origine prodotti Disney, e le due compagnie realizzano inoltre format televisivi venduti in tutto il mondo. L’industria del merchandising vale miliardi.

 

[**Video_box_2**]Così, con poche grandi potenze che decidono quali saranno i prodotti culturali più consumati in America e nel mondo occidentale (dal cinema ai programmi televisivi, dalle canzoni ai giocattoli alle storie da raccontare ai bambini prima di dormire), il mondo culturale occidentale si sta “disneyzzando”, non nel senso che tutto diventa più fiabesco, ma che è la Disney Corporation, insieme alle sue colleghe, a decidere come funziona la cultura pop odierna. E qui entra in gioco il teorema Amazon, espresso un anno fa dal direttore del New Republic Franklin Foer, nella sua ultima grande inchiesta per il magazine prima di essere defenestrato dal coup interno ordito dall’editore Chris Hughes. In una specie di mozione di principio Foer scrisse che Amazon si era trasformata in un monopolio perché era diventata troppo grande. Questo nonostante i benefici ai consumatori, che in regime di monopolio dovrebbero diminuire anziché aumentare. Il quasi monopolio commerciale di Disney e Universal può anche trasformarsi in un’oligarchia culturale. Ma finché i consumatori se ne gioveranno, e dal presunto monopolio usciranno capolavori come “Inside Out”, sarà come succede con Amazon: nessun impero è troppo grande finché continua a innovare.

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.