Alexis Tsipras con Jean Claude Juncker (foto LaPresse)

Euroamarsi ancora

Annalena Benini
L’Europa delle marmitte greche (bucate) e delle auto tedesche col volante in peluche non può finire così. Se c’è ancora qualcosa che ci tiene insieme oltre allo spread, al Fiscal compact e ai punti di pil, nessuno dovrebbe chiudere la porta in faccia alla disordinata, insolente e fragile Grecia.

Se c’è ancora qualcosa che ci tiene insieme oltre allo spread, al Fiscal compact e ai punti di pil, nessuno dovrebbe chiudere la porta in faccia alla disordinata, insolente e fragile Grecia (il Monde ha scritto, nei giorni scorsi “Non si chiude la porta in faccia a Platone”, citando Valéry Giscard d’Estaing che, alla fine degli anni Settanta, rispose alla richiesta greca di entrare nella Comunità europea). C’è questo qualcosa in più, c’è un’idea umanista, o almeno romantica, un sentimento che non ci permette di lasciarci, di buttarci fuori a calci e dire che è tutto finito, tu sei un fallito, anzi una fallita, raccogli i tuoi quattro stracci, il tuo caffè, il tuo mare azzurro e vattene da qui? Perché forse è rimasta solo una questione (importantissima, fondamentale) di soldi, di business, è finito l’amore e anche l’idea di un destino comune: siamo invecchiati, disillusi, impoveriti, siamo tutti economisti e burocrati, ci siamo scordati di Platone e anche dei motorini con la marmitta scoperta e bucata che guidavamo sulle isole greche, di tutte le ustioni sui polpacci e le cadute in curva per raggiungere le spiagge, e della certezza che quel posto fosse anche nostro. Per girare l’Europa in treno si comprava un solo biglietto e si viaggiava di notte per risparmiare sugli ostelli. Quindi si arrivava anche in Germania, e facendo l’autostop qualche volta si entrava in automobili potenti, con i sedili e il volante ricoperti di peluche, anche d’estate, pelo lungo e di solito beige, che era più elegante. Il peluche tedesco e le marmitte greche erano un’idea sufficientemente variegata, bella e allegra di Europa, che sembrava non dovere finire mai e che ci avrebbe protetto sempre, e offerto una birra perfino, o un Ouzo, ed era il coronamento di sogni durati millenni, con la memoria ancora viva di quel che si era patito per arrivare fin lì, e la raccomandazione, che dura ancora, di salire fino al Partenone, dove molto è cominciato, dove noi siamo cominciati.

 

Adesso che ci sono soprattutto i punti percentuale ad assillarci, e le regole finanziarie a determinare chi siamo, adesso che perfino nell’ultimo film di Nanni Moretti la protagonista non riesce a ricordare a che cosa serva studiare latino e greco a scuola, la Grecia non simboleggia più nulla, e quindi forse nemmeno l’Europa. Come quando si litiga moltissimo, non si accettano condizioni, si lanciano piatti e si va a dormire in un’altra stanza e in quella stanza, al buio, si prova a ricordare i motivi per cui ci si era innamorati un secolo fa, il perché una notte ti ho detto non ti lascerò mai, e non viene in mente nulla, solo il mutuo, e tu che mi hai rinfacciato di avere pagato tutte le vacanze, e l’automobile che non la uso mai ma mi arrivano le tue multe. Se è così, allora è meglio lasciarsi. Ma se c’è qualcosa che ci unisce, se ci commuovono sempre quegli interni di peluche e quei motorini sgangherati, allora non si può chiudere la porta in faccia a Platone e all’Europa.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.