Perché c'è un problema (serissimo) con i pornoattori giapponesi
Roma. E’ una vita dura, quella dei pornoattori giapponesi. Prendiamo per esempio Ken Shimizu, meglio conosciuto come Shimiken. Ha 35 anni, di cui diciotto di onorata carriera, settemilacinquecento film all’attivo, ottomila donne nel suo carnet, ed è il pornoattore più famoso del suo paese (“o meglio, i suoi sedici centimetri lo sono”, dice la scheda online). Ma Shimiken non fa che lamentarsi, su Twitter e nelle interviste (l’ultima ieri al Japan Times dal titolo “Pornaldo”, per via del suo nomignolo di “Cristiano Ronaldo del porno”). Semplicemente Shimiken non ne può più: “In questo settore ci sono solo 70 pornostar di sesso maschile, contro diecimila donne. Siamo meno delle tigri del Bengala. Con 4 mila nuovi film ogni mese, il numero di attori maschi semplicemente non è sufficiente”. Qualcuno dice che gli attori giapponesi dei film per adulti siano addirittura di meno, non più di trenta. Shimiken ha il physique du rôle, è uno che lavora sette, otto ore al giorno, sette giorni su sette. Si dice non abbia mai fatto una vacanza, mai usato il Viagra (“finora”, replica lui). E’ famoso nell’ambiente per la resistenza (e per indossare t-shirt con scritto “sex instructor”). Eppure, dopo il suo sfogo, ha ottenuto molta solidarietà dai colleghi, soprattutto stranieri, e dal pubblico.
Del resto il paese del Sol levante è il luogo principe della complicazione sessuale. Qui l’amore è spesso considerato un incidente, un inciampo di carriera, e il sesso un contrattempo. E’ il posto in cui la disciplina morale e la rettitudine sono virtù irrinunciabili e l’astinenza dalle relazioni sessuali è tra le più alte del mondo (basti guardare la bassissima natalità). E’ qui che è stata coniata l’espressione “uomini erbivori”, maschi che rinunciano alla propria sessualità per non avere problemi. Eppure il Giappone è anche il paese dove l’industria pornografica produce, in media, almeno il doppio dei film pornografici prodotti in America. La domanda è altissima, e il giro d’affari da capogiro. Un documentario girato nel 2013 da due nomi noti dei film per adulti giapponesi, Yujiro Enoki e Hidekazu Takahara, ha messo in luce per primo il problema. Nel film, che si chiama “The Other Side of the Sex”, venti tra i più famosi pornoattori giapponesi raccontano la propria esperienza con le donne, con la vita e con il business. Tutti, però, lamentano il progressivo avvicinarsi del lavoro di attori a quello di una catena di montaggio. Uno dei registi, Yujiro Enoki, spiega che “siamo passati dalle tre riprese in due giorni del passato alle quattro, cinque in un solo giorno. Significa che un attore deve essere all’altezza della situazione sette volte al giorno, ogni volta con un’attrice diversa”. Inoltre all’esemplare maschio si richiede forma fisica smagliante – particolarmente curata nei film per adulti giapponesi, dove l’atto in sé è spesso soltanto una parte dell’intero film, che si concentra su aspetti più particolari e feticismi. In un’intervista al mensile maschile Details, Shimiken ha raccontato la sua giornata, l’importanza dell’esercizio fisico – non solo per i muscoli, ma anche per il testosterone – unghie e capelli curati, alito profumato. Per le donne funziona esteticamente allo stesso modo, ma a loro non vengono richieste le stesse performance: sono di più, e non è un segreto che molte ragazze giapponesi facciano, nella loro vita, anche solo un film hard per poi mollare completamente. E poi l’industria dell’intrattenimento è molto vicina a quella “per adulti” (i primi film pornografici giapponesi furono i pinku eiga e i nikkatsu, i pornoromantici, film erotici più che altro), e dunque non è ritenuto deplorevole se una idol teen, una cantante per ragazzini, una volta maggiorenne passi a fare film hard (a Britney Spears, questo, viene ancora rinfacciato, nonostante non abbia mai girato un porno).
[**Video_box_2**]In ogni caso, l’economia è in sofferenza. Ha fatto notizia qualche giorno fa il caso di Rola Misaki, una famosa pornostar giapponese, “acquistata” letteralmente da un tycoon cinese per 8 milioni di dollari in cambio di un’esclusiva di quindici anni: “Lo yen è debole, la Cina può comprarsi ciò che vuole in Giappone”, scriveva furibondo il tabloid online Tokyo reporter. “E’ il lavoro dei miei sogni, e qualcuno dovrà pur farlo”, dice Shimiken. Ma la preoccupazione è che le vendite, già in declino, possano diminuire ancora: nessuno ha voglia di vedere film sempre con gli stessi protagonisti.
Intervista a Gabriele Lavia