Da Delfi ad Anzio passando per Creta e l'Etruria. L'importanza dei “custodi” nei luoghi antichi

Alessandro Giuli
C’è una piccola radura sulla cresta del Monte Parnaso a Delfi dov’è possibile trovare il croco, fiore sacro a Diana e alle sue giovani orsette, le fanciulle che danzano per lei giallovestite a festa nel rito d’iniziazione puberale.

    C’è una piccola radura sulla cresta del Monte Parnaso a Delfi dov’è possibile trovare il croco, fiore sacro a Diana e alle sue giovani orsette, le fanciulle che danzano per lei giallovestite a festa nel rito d’iniziazione puberale. Ci si giunge per un sentiero che s’inoltra lungo la parete terrazzata sovrastante al tempio di Apollo, ma una volta giunti in vetta bisogna seguire l’istinto, oppure le indicazioni ricevute a valle dal saggio del luogo. Il saggio del luogo è una figura archetipica presente nei posti antichi sopravvissuti allo sfregio dei tempi oscuri. Lo si riconosce perché ha un che di medianico: in determinate, felici condizioni, si “accende” e non parla più a nome suo. Spesso passa per il matto del villaggio e invece è il più savio. A volte è il semplice custode di un sito archeologico che sviluppa un rapporto osmotico con l’ambiente di cui si prende cura ogni giorno, altre volte è un erudito lontano dalla polvere accademica, conosce prima e meglio degli specialisti l’ubicazione di templi e altri posti sacri. Prima o poi finisce per scriverne, in pubblicazioni semi clandestine nelle quali, al netto delle fantasticherie, si ritrova il serbatoio di una memoria ancestrale. A Delfi, per esempio, al mio amico K. non daresti due lire quando lo vedi trafficare nel suo negozio con i turisti in cerca di chincaglierie anticate. Ma se entri in confidenza potrai addirittura conoscere alcuni misteri legati al culto della Epsilon apollinea che lui e alcuni suoi maestri pitagorici coltivano lontani da occhi volgari (nel gruppo c’è anche una Pitonessa dalla quale bisogna un po’ guardarsi). Nel cuore di Creta c’è una persona umilissima che custodisce un luogo in apparenza marginale, lui di sicuro non scrive libri ma è meglio così perché non c’è nulla di cerebrale a intorbidare le sue intuizioni e, quando il dèmone del luogo lo possiede, trasmette sentenze oracolari che “un sogno mi ha proibito di descrivere…” (Pausania).

     

    In Italia esiste un lignaggio più o meno segreto che va dal sommo Giacomo Boni in giù. Boni, irraggiungibile, è il Vate del Palatino che fra mille altre cose ha scoperto il Lapis Niger nel Comizio dopo un sogno rivelatore. Ma qui posso segnalare altre figure che nel tempo stanno guadagnando qualche notorietà anche editoriale, come Alberto Palmucci che colloca a Tarquinia il santuario federale degli Etruschi, come Giovanni Feo, studioso dei proto-Tirreni, come Giorgio Copiz che ha ripreso le ricerche di Evelino Leonardi per illustrare le città cosmiche del Lazio. C’è poi una persona scomparsa non da molto e che rimpiango di non aver conosciuto. Si chiamava Guglielmo Natalini, romano di nascita e anziate d’elezione. Anzio è una città a suo modo inesplorata nell’essenza profonda, anche oggi vi si percepisce un orgoglio remoto (bisogna ricordare che nel IV secolo avanti l’èra volgare Alessandro Magno inviò a Roma un’ambasceria lamentandosi dei pirati di Antium che saccheggiavano le navi nel Mediterraneo). I resti archeologici del Palazzo imperiale dormono il loro sonno millenario, in uno stato di pacifica latenza appena increspata dai bagnanti contemporanei. Questa fierezza anziate è, sì, rannuvolata dall’amnesia caratteristica del mondo moderno, tuttavia lampeggia sempre intorno al maggiore inquilino conosciuto da quelle parti: l’imperatore Nerone, ultimo esponente della dinastia giulio-claudia, ingiustamente condannato dalle maldicenze dei nemici nel suo tempo e dei fanatici successivi. Si dà il caso (ma il caso non esiste!) che Anzio abbia ufficialmente riabilitato Nerone dalla damnatio memoriae. Lo ha fatto subito dopo il solstizio d’estate del 2010, erigendo una sua statua in bronzo sulla riva del porto antico, con questa dedica amorevole e solenne: “Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato ad Anzio il 15/12/37 d.C. con il nome di Lucio Domizio Enobarbo, figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, sorella dell’imperatore Caligola. Nel 54 d.C. divenne imperatore per acclamazione dei pretoriani. Durante il suo principato l’impero conobbe un periodo di pace, di grande splendore e di importanti riforme. Morì il 9/06/68 d.C.” (alcune piccole copie della statua, in bronzo o in resina, vengono vendute da un simpatico orafo locale e sono molto richieste). Tutto ciò è stato reso possibile anche grazie all’opera divulgativa del Natalini, antica anima gentile migrata nel corpo di un dirigente industriale, autore di piccoli preziosi libri su Coriolano e sui magnifici anziati Nerone e Caligola. Qui non posso riassumere il contenuto dei suoi studi, posso dire che li ho scoperti grazie a una splendida gentildonna che mi ha ospitato ad Anzio e alla quale lui ha regalato il suo “Nerone oltre la leggenda”, con questa dedica: “All’amica Lilli che così potrà conoscere il vero e calunniato imperatore anziate”. Data, 17/12/2006: è il dies dei Saturnalia, il giorno in cui Roma celebra con doni di luce il ricordo dell’eterna Età dell’oro.