Mark Zuckerberg (foto LaPresse)

Nelle regole di Facebook sui nudi c'è il mondo ovattato di Zuckerberg

Redazione
Ieri Facebook ha pubblicato un documento lunghissimo chiamato “Community standards” in cui spiega cosa si può pubblicare e cosa no sul social network – o meglio, cosa sarà cancellato di quello che uno pubblica, e cosa invece può rimanere online. Seni sì, capezzoli no; sedere? Dipende

Roma. I seni sì, i capezzoli no. Il sedere dipende, può andare bene, ma solo se non è troppo nudo e “focused” sui glutei. Donne che allattano? Ok (sperando che il capezzolo sia coperto). Opere d’arte che mostrano nudità? Bene anche quelle (ma l’“Origine du monde” no, quella è troppo). Ieri Facebook ha pubblicato un documento lunghissimo chiamato “Community standards” in cui spiega cosa si può pubblicare e cosa no sul social network – o meglio, cosa sarà cancellato di quello che uno pubblica, e cosa invece può rimanere online. Non è un cambiamento di policy, le regole restano le stesse, ma è la prima volta che a Menlo Park qualcuno decide di spiegare davvero, con esempi e riferimenti chiari, i princìpi che regolano la censura dei contenuti su Facebook – e in questo senso offre una visione più chiara del mondo, ovattato e un po’ bigotto, che Mark Zuckerberg vuole metterci davanti agli occhi tutte le volte che accendiamo il computer.

 

Tutto parte dai “report”, da quella piccola finestrella cui possiamo accedere se un contenuto su Facebook non ci piace, se lo riteniamo offensivo, denigratorio o pericoloso. Facebook riceve, si legge nel post di accompagnamento ai nuovi Community standards, miliardi di report ogni giorno: richieste di cancellazione di fotografie offensive, oscene, di post che incitano alla violenza o a comportamenti criminali. E’ facile gestire alcuni di questi contenuti. Se un post incita al terrorismo Facebook lo cancella, ma su tutto il resto il giudizio è soggettivo: che fare della satira e delle vignette di Charlie Hebdo? Quand’è che gli scherzi si trasformano in bullismo, e quando le critiche in “hate speech”?

 

Facebook vuole imitare la vita, ma non è in grado di sopportare le sue contraddizioni, e documenti come quello sul Community standards servono appunto a questo, ad allontanare quella parte di realtà che gli algoritmi non riescono a comprendere e ad avvicinarci il più possibile all’idea che Zuckerberg e i suoi hanno della comunità perfetta. Per questo ognuno deve usare su Facebook il suo vero nome e cognome, una cosa che quando l’ha annunciata il regime comunista cinese gli attivisti sono impazziti (ma anche il nome d’arte va bene, dopo che un gruppo di drag queen ha fatto causa di recente). La nudità è vietata a livelli da educande, con particolari ridicoli su quanti centimetri di pelle è consentito scoprire che non si vedevano dai tempi vittoriani. Il bando contro l’hate speech mantiene un alone di ambiguità che consentirà a Facebook di usare la mano pesante solo quando sarà opportuno. Non si può attaccare qualcuno per la sua razza, religione o etnia; la satira e la blasfemia sono consentite, ma solo se ottemperano alle leggi dei singoli paesi: le vignette di Charlie le vedremo sul Facebook francese, in Arabia Saudita sarà impossibile.

 

A Facebook da tempo i team di psicologi e scienziati cognitivi hanno importanza simile ai team di programmatori, di recente proprio uno di questi ha dato origine allo scandalo degli esperimenti non autorizzati sull’umore degli utenti (gli scienziati inserivano post negativi nelle bacheche per valutare la nostra reazione), e il fatto che il sito Recode dica che la stesura delle nuove linee guida ha richiesto oltre un anno di lavoro mostra la cura con cui Zuckerberg cerca di cesellare le regole della sua comunità ideale. Ci sono state cause legali contro queste regole, la più recente quella di un cittadino francese che si è rivolto al tribunale per difendere il suo diritto a postare la foto dell’“Origine du monde” di Courbet, ma Facebook resta il social network più regolato di tutto l’occidente.

 

Con i suoi 1,4 miliardi di utenti attivi e un parco di utilizzatori variegato, Facebook è la cosa più simili alla vita reale che ci sia su internet, e al tempo stesso è la più distante. E’ tipico di Mark Zuckerberg, che ragiona in base alle connessioni, non ai rapporti, e le connessioni, appunto, si possono modellare, cancellare, censurare.

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