Il battito e la sdraio rossa. Il Natale di Alfredo

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Alfredo d'inverno si addormentava ogni sera così. In braccio a suo padre.

    Alfredo d'inverno si addormentava ogni sera così. In braccio a suo padre. Era lì nella cucina di quella vecchia casa di campagna che la storia, le narrazioni epiche, diventavano quadri, immagini, visioni. Una vecchia stufa a legna, alle loro spalle, scaldava il giorno e la notte. Era il piccolo a portare la legna in casa durante il giorno. Un compito preciso, scadenzato dal fuoco, dal campanile, da uno sguardo. Era il gesto che lo faceva entrare nel mondo. Andare in legnaia, riempire la cesta e fare le scale. Alfredo partecipava alla costruzione, all'edificazione della comunità. Non era un gioco o una parafrasi divertente della giornata. Si trattava di responsabilità. Sporcarsi le mani, sentire l'aria gelida sulla faccia, spostare i cerchi della piastra di ghisa, era il suo modo per esserci. Partecipe,  attore protagonista del palco. Papà, raccontava, lucidava le scarpe con la spazzola, insegnava. Mamma, preparava il buon pasto, piegava le lenzuola, rammendava. La stufa bruciava il Faggio. Sopra di essa si appoggiavano le pentole e nel vano scaldavivande si riscaldavano pietanze antiche. Era la cucina economica. Nome che richiamava a sobrietà d'intenti e serietà di giudizio. Quando la sera iniziava a nevicare, appena fuori dall'uscio si preparavano le pale, gli stivali verdi di gomma e i guanti. Tutto pronto per la mattina, per il lavoro, per la festa, per l'opera degli uomini di casa. Dentro, mentre la tv girava a vuoto sui tre canali disponibili, le storie prendevano forma, uomini e donne, paesi e passi, riempivano la cucina. Alfredo sollecitava il padre – “papà raccontami ancora di quella volta che avete vinto la pace”. Le parole si facevano calde, ogni respiro una fitta nell'orrore della guerra, ogni battito la speranza e l'orgoglio per esser ritornati. L'odore delle bucce di mandarini e del pane abbrustolito sulla stufa, annunciava l'arrivo del Natale. Il mistero non si spiegava, entrava dritto come narrazione nei racconti quotidiani. Un regalo. Uno solo. Portato, donato, dalla vita alla vita. Chi c'era dietro la porta? Mai svelato l'arcano. Sospeso tra sogno, realtà e mistero, Alfredo guardava dalla finestra cadere i primi fiocchi. Apriva la finestra per bagnarsi le dita delle soffice. Un regalo, uno solo. Niente “buoni” o “cattivi”, un dono è a prescindere, gratuito, nulla in cambio. Neppure una condotta di comportamento. Quella era dentro la vita, nei mesi, negli anni, nella vivere. Ma anche il dono era narrazione. Alfredo ascoltava attento e papà, giorno dopo giorno, forniva nuovi dettagli. Le parole si silenziavano ed il racconto diventava la raffigurazione delle mani che si muovevano nell'aria, come nuvole, colombe, luci e pane. Seduto su una vecchia sdraio da giardino con le corde rosse, la notte del 24 dicembre, Alfredo in braccio a suo padre, attendeva la notte. Coricato sul lato destro, mentre in tv si celebrava il giorno di festa, il piccolo si lasciava andare al sonno dei tranquilli. Il regalo sarebbe stato scartato solo la mattina del 25. Ma forse la storia finiva esattamente lì, per ricominciare ogni giorno da capo. Con il capo tra la spalla ed il cuore, Alfredo si addormentava tra le braccia di suo padre, dentro il suo battito. Oggi non è rimasto quasi nulla di quella cucina, sparita la stufa, la sdraio, ed anche quel cuore. Alfredo, fatica a mettere a fuoco. Anche il 24 dicembre, seppure così vicino, gli sembra quasi un ricordo senza memoria. Allora, chiude gli occhi, reclina il capo verso destra. Tende l'orecchio e sente ancora quel battito. Sì, è Natale.