Il significato autentico del Mundus. L'Uomo cosmico fra derive superstiziose e saggezza dei Padri

Alessandro Giuli

    Alla fine di agosto, in coincidenza con il funesto terrae motus che ha colpito la Sabina nel giorno in cui Mundus patet, scrivevo su questo giornale: “… si apre la volta di sotterra – specchio della volta celeste, in cui s’inciela come radice il caput divino dell’uomo-infinito –, ed è in queste viscere spalancate che il vir seppellisce le proprie scorie terrestri per poi trasformare il piombo nell’oro” (Il Dèmone delle macerie). Parole dal tratto un po’ oracolare, forse, ma che possono valere come il prologo di più esplicite riflessioni, essendo il Mundus oggetto di apertura in altre due occasioni annuali, oltre a quella del 24 agosto: il 5 ottobre (mercoledì scorso) e l’8 novembre. Ma cos’è, in definitiva, il Mundus? Per comprenderne il significato è nostro dovere riferirci agli autori antichi, anzitutto, e bisogna farlo con intento chiarificatore ma al tempo stesso scevro di superficiali sensazionalismi, quando non addirittura di superstizioni moderne vòlte retroattivamente. Per prima cosa non dobbiamo farci sviare dal greco Plutarco, il quale confonde il Cereris Mundus con la fossa di fondazione urbica scavata sul Palatino da Romolo e poi chiusa ermeticamente. Il Mundus sferico di cui parliamo qui, che dava accesso al mondo sotterraneo e si apriva soltanto tre volte all’anno, era situato nel Comizio e – teste Catone – “… deve il suo nome al Mundus (volta del cielo) che sta al di sopra di noi; infatti, come ho potuto sapere da coloro che vi sono entrati, esso ha una forma simile a quella dell’altro Mundus. I nostri antenati decisero che la sua parte inferiore, consacrata per così dire agli dèi Mani, dovesse restare sempre chiusa, tranne che nei giorni già indicati. Quei giorni furono considerati religiosi per la seguente ragione: i nostri antenati vollero che non si compisse alcun atto ufficiale nel momento in cui i segreti della religione degli dei Mani erano per così dire portati alla luce e rivelati. In quei giorni, dunque, essi non attaccavano battaglia con i nemici, non mobilitavano truppe, non tenevano comizi, non si dedicavano ad alcuna attività ufficiale, se non in caso di estrema necessità” (in George Dumézil, “La religione romana arcaica”). Giunti qui, è già possibile fugare una delle più comuni interpretazioni secondo cui dalla fossa uscissero a spasso per la città le anime dei morti. Non è così, come dimostra Catone citando coloro che vi sono entrati e non usciti, o come anche Festo suggerisce quando ci dice delle cose occulte e nascoste allo sguardo (occultae et abditae) che “erano portate alla luce e rivelate”. Varrone (citato da Macrobio) dice: Mundus cum patet, deorum tristium (gli dèi inesorabili, da pregare con insistenza) et inferum quasi ianua patet. Ma l’erudito sabino ci ha lasciato altre preziose tracce: mundus muliebris dictus a mundizia (lindura), e cioè quel che è oggetto di toiletta femminile (mundus) deriva da lindore, pulizia (mundizia). Ora, quando gli antichi parlano del femminino, alludono per simboli al mondo naturale, la Natura. E sempre Varrone precisa: et a motu eorum qui toto caelo coniunctus, mundus, ovvero dal moto di quei pianeti che è congiunto con tutto il cielo, denominarono il mondo.

     

    I nostri Padri oggi riconducono il lemma Mundus al tema aryo mand con il senso di “ornare”, quindi “ordinare” in forma circolare. Come nei mandala, diagrammi composti di circoli e quadrati concentrici che simbolizzano l’universo e lo proiettano in scala microcosmica nella pianta dei templi. Un simile diagramma, per chi abbia voglia d’indagare, si trova nell’umbra e arcaica Gubbio…

     

    Secondo Plinio il Vecchio, poi, quel che i Greci chiamano kòsmos, nos eum a perfecta absolutaque elegantia mundum. E qui lo scienziato romano introduce il senso di una elevatezza universa e compiuta che si combina perfettamente con l’indicazione catoniana del mundus sotterraneo come specchio della volta celeste. Volendo proiettare tale compiutezza al nostro discorso, possiamo avvalerci di un’immagine.

     

    Ecco dunque l’Orbe circolare o sferica (orbis terrarum), che richiama anche l’orbita astrale e quella oculare, al cui interno è fissato il punto, l’umbilicus, il varco dell’Axis Mundi che mai si muove, mai vacilla, anche quando il cerchio ruoti. E questo axis cos’è, anzi chi è? L’Uomo Solare, stellare, romuleo, il Re-Pontefice che fonda l’Urbs Romae come quadrato nel vasto cerchio: elevando in direzione del cielo ciò che ha le fondamenta nel profondo, collegando la dimora degli Inferi a quella dei Superi in armonia con le potenze della natura.

     

    Il centro di gravità di questo perfetto equilibrio sta dunque nel cuore dell’uomo reintegrato nella propria divinità originaria, quell’Uomo cosmico che non si smarrisce nel kòsmos incognito e spaventevole di cui scrive Isidoro di Siviglia nelle sue Etymologiae, illusione prodotta dalla latria del dualismo creaturale. L’Uomo cosmico è il vir che rischiara se stesso come locus mundus, dimora lucente, sede dell’intelligenza cardiaca ordinatrice: nelle profondità, purifica le linfe che donano vigore alle energie psichiche, mòve al cielo pensieri elevati e compie l’opera gloriosa accetta ai Superi e agli Inferi, per l’armonia dell’Orbe intero.