Lucaria, Neptunalia, Furrinalia: tre feste fluenti di luce e di acque nel mese della canicola che arde

Alessandro Giuli
Il mese di Iulius (Caesar) si avvia a conclusione con tre feste assai fresche, equoree e luminose, nel mezzo della terribile canicola, nei giorni della “doppia fiera” che dardeggia nell’afa e dissecca il capo e le ginocchia.

    Il mese di Iulius (Caesar) si avvia a conclusione con tre feste assai fresche, equoree e luminose, nel mezzo della terribile canicola, nei giorni della “doppia fiera” che dardeggia nell’afa e dissecca il capo e le ginocchia. I Lucaria (21 luglio), di cui abbiamo già accennato, celebrano le radure boschive, quei varchi circolari magnetizzati dalla luce solare, dinamizzati dalla presenza verticale dell’Uomo e dalla sua consapevolezza di addentrarsi in luoghi magici e divinatorii, quasi “templi sotto l’aperto cielo”. I colli di Roma ne erano dis-seminati. Qui, come ci è tramandato, “antichi sacerdoti e antichi sciamani quando tagliavano un albero o più alberi erigevano un piccolo altare, un’ara o un sacello, e lo dedicavano al Genio del luogo o alle Ninfe degli alberi abbattuti; lo ponevano al centro della radura e vi concentravano, unite, quelle energie sottili (il sacer) offese dalla mano dell’uomo che a quel luogo aveva sottratto vitali presenze, onde non si verificasse uno squilibrio. Rimanessero ivi intatte, non diminuite, le forze sottili (cioè impercettibili e perciò inviolabili) della Natura e non ne risentissero le corrispondenti energie del gruppo umano ivi stabilitosi”. Sempre qui, fra i Luci, abita Lucoris, il lucente dio dei boschi sacri in cui “L’Uomo e la Natura sono a confronto; l’Uomo che attraverso la conoscenza della sua segreta natura ascende ai segreti del Cielo. Il Lucus, il Sacellum, l’energia sottile luminosa della Natura, l’energia divinizzante dell’Uomo. Il Sacer sulla Rocca, l’Arx del Campidoglio, il nostro antico ancestrale saxeus Monte Kapa … il Refugium nel luogo della luce, là dove Uomo Natura e Cielo refulgent contro il privo di luce”.

     

    Al ventitreesimo giorno di luglio, poi, i Padri festeggiano i Neptunalia. E qui bisogna intendersi bene. I prischi Latini non conoscevano un dio delle acque simile a quello degli Elleni o degli Etruschi asiatizzati e preoccupati di subire danni alle loro mercanzie che viaggiavano per mare: i Romani “non praticavano tal volgare superstizione; par conoscessero un Nettuno, demone scuotitore della Terra, armato di un tridente a simboleggiare che il passato, il presente e il futuro della massa terrestre è un magma in continuo movimento; essa ha connaturato in sé il demone del moto, terrae motus; salda nell’etere, in sé opera continuo mutamento. I nostri progenitori dettero a tal demone il nome di Nettuno. Un demone da fronteggiare, a cui resistere. La natura terrestre dell’uomo è infatti incline a instabilità ma l’uomo deve raggiungere fermezza, costanza, sicurezza, perseveranza”. Non che il “salsipotente Nettuno” (Virgilio) sia del tutto estraneo alla dimensione acquea, poiché gli è consentanea la dimensione del fluire. Sicché i suoi genii, i Nettuni, “stazionavano presso gli argini dei fiumi, dei ruscelli, presso i canali; salvaguardavano quegli argini dalla rovina, dalle illuvie”. C’entra dunque l’idea di umidità, se è vero che la radice Neph è la stessa di nebula, la nuvola che origina dal moto vorticoso dell’etere solare che attinge alla superficie delle acque. Secondo Varrone, Nettuno origina da nuptus, il velame, perché il mare copre di nubi le terre. Ma soltanto le terre? O non dobbiamo forse andare al di là della pur loquente lettera? Il velame, la nuvolaglia, il moto fluente degli elementi si dispiega tanto al di fuori dell’uomo quanto al suo interno, laddove la presenza dell’aestus nettunio, l’ardente “demone del ribollimento” (le passioni dell’io storico!) deve incontrare una volontà frangiflutti, una consapevolezza che potremmo definire “idraulica”: è l’arte di scavare canali fisici e ideali per scaricare tensioni incanalandole nel modo opportuno, e così farne strumenti d’irrigazione puliti ed efficienti. Allora sì, lo “zampillante fluire” renderà rorida la natura animata e la natura naturante dell’uomo, arricchirà e renderà arzillo il mondo macro e microcosmico. “E con i Nettuni, amabili Geni, sciamaniche intelligenze, non dimentichiamo due nostre antiche conoscenze, le potenti entità femminili delle acque, le instancabili energie del dio, Salacia e Venilia… scrosci, zampilli, saltelli, fluire, fluire… Salientes rivi… si per planum veniet… suggerisce il rurale Columella. Vi par poco per dedicarvi una festa, e nell’insorgente canicola?”.

     

    Ma non è tutto, perché il culmine di questa giostra equorea è affidato a Furrina (25 luglio), “Dea delle acque profonde, tenebrose, che erodono e scavano spechi, meati, passaggi. Una entità ardimentosa, che mai arretra e procede diritta per la sua via, che costantemente allarga. Impeto che frange, che ruba (furatur) alla terra che la ospita, sali, granelli minerari, schegge preziose, pepite d’oro e d’argento. E’ la Dea delle Acque, alle cui itale vie fluviali Giano affidò la sua Nave carica del peso di fatali eventi, Nave da doversi ricondurre e ancorare in aureo Porto”. Titolare di una sorgente e di un boschetto sacro sul Gianicolo, Furrina è l’acqua ardente che disseta e rinfresca soltanto a patto che il Vir abbia sviluppato le qualità attive della Dea. Altrimenti “torbida ristagna nella psiche dell’uomo”, e lo corrode, lo smarrisce. Nella tradizione degli arya indiani la si invoca così: “Guardatemi con occhio propizio, voi acque; con un corpo propizio toccate il mio corpo. Invoco tutti i fuochi che risiedono nelle acque: mettete in me il vostro splendore, la vostra forza, la vostra energia! Affinché le acque non acquietate non tolgano virilità a chi è consacrato”. Ma chi è, colui che è consacrato? E’ “il Signore delle acque? E’ lui, il Salvato dalle Acque. Il Timoniere che condurrà nell’aureo Porto la fatidica Nave di Giano”. Ai Romani non occorreva una suprema divinità delle acque, in quanto è il dio mortale, o uomo divinizzatosi, a incaricarsi di “governare il tumulto, sedando dentro di sé il demone delle tempeste”. Proprio così fanno i Dioscuri, divini gemelli, fratres soteres.