Giove Invitto, Mater Matuta e le quattro entità geniali che sovrintendono al Natus patriae

Alessandro Giuli

    Ieri, Idi di giugno, ricorreva la festa di Iuppiter nella sua qualità di Invictus, dedicatario di un epulum, il banchetto rituale al quale partecipano i Patres accompagnati dalle caste vestali, le sacerdotesse della casa del Fuoco patrio il cui penetrale in questi giorni viene aperto affinché massima sia l’irradiazione luminosa, in perfetta corrispondenza con l’ascesa del Sole verso il solstizio estivo. Si sta aprendo il secondo semestre dell’anno, in una condizione di rinascenza aurorale propiziata dalla Mater Matuta (sabato scorso le sue festività), la dea arya dal manto di porpora che mette in fuga le tenebre dell’io volgare e terrigeno, figlio notturno dell’indistinto, simboleggiato da una serva opportunamente allontanata dal sacro tempio. Mater Matuta è il nume che rischiara il cielo e l’intelligenza superiore incielata nell’uomo, nel puer e nelle puellae che ricevono il bianco latte dei primordi – di qui il suo nome greco: Leukothea, la dea bianca, l’albeggiante matrona o “Cuna aurorale che con / il trionfo / dell’invitta luce / l’opra / dell’Uomo, e mari e terre fecondando, / allieta”, annunciando così il maestoso “Viaggio del Sole / che, intorno intorno, / splendente incitatore, / pungola, sprona, / l’arco della luce espande!”. Ancella dell’astro splendente, Mater Matuta ammaestra le matrone romane ritte in silenzio e in punta di piedi accanto alla culla del puer romanus, ove agiscono quattro entità geniali; due fate e due genietti: Cuba - Fabulino - Statulino - Educa. Non si trovano lì per caso, ma perché è stata preparata loro un’aura propizia. Una tranquilla domus abitata da una matrona, cittadina romana che secondo il mos romano è andata in sposa a un cittadino romano. Il Pater familias ha affidato alla sposa la cura della casa e con essa, e sotto la sua protezione, la cura e la crescita dei figli nascituri. Questa signora, che è la domina assoluta di tutta la realtà domestica, donna castissima, raffigurante quasi una divinità femminile, disdegna le cariche pubbliche e la dura combattiva attività politica. E’ l’onorata Mater familias, la filatrice di lane, come erano già state le sue degne divine antenate, le fate veridiche Parica, Nona e Decima.

     

    Ora possiamo appressarci alla culla. La stanza è ariosa, silente. Presso la culla c’è Cuba. Invisibile? Cubo, cubare, esser coricato, giacere disteso, dormire. Il fantolino, infatti, giace sul dorso, cubat… è volto verso l’alto, è sulla Terra ma rivolto al cielo, cubat sul tenero dorso. Se osservate il cuccioletto d’un animale, vedrete che la bestiola invece giace sul ventre, il musino a contatto con il suolo; tutto denota una esclusiva terrestrità. Cuba, la dolce, presso quella latina culla è visibilissima, or che il puttino è sveglio e sorride e muove le braccine sollevandole al cielo e son presenti entrambi i genitori e il padre sorridente ne ispeziona le tenere membra; entrambi presso quella cuna come fosse la cuna del mondo.

     

    Nella cubiculla, il piccolo ambiente destinato all’infante, regna un casto silenzio; in quella stanza non si udranno litigi, diverbi, non discorsi insulsi, parole vane, sconce; è quasi un sacrario. Solo suoni lievi, armoniosi; il ninnare lento, le ninnenanne materne; discorsi misurati, prudenti, anche riguardanti faccende quotidiane; discorsi semplici, affabili, familiari. Un ambiente sano, sereno; mai un’atmosfera ostile. In quei primi mesi di vita al bimbo deve essere trasmesso il senso di una natura accogliente, di un eloquio corretto, castigato, di abitudini sane, oneste, probe. Mai devono mancare l’affetto e le tenerezze materne. Così la tenera mente sarà aiutata nel suo sviluppo e, senza accorgersi, assimilerà la virtù trasmessa dall’ambiente e lui, il piccolo, si sentirà sollecitato a comunicare con quelli che lo circondano, a rispondere all’affabulare materno, ai suoni, alle parole che ascolta. Fabulino ora collabora con Cuba. Fabulino: stimolo impulso incitamento, dall’interno; richiamo invito incoraggiamento, dall’esterno. Nel piccolo sacrario energie sottili agiscono per le virtù coltivate dagli adulti, ponte verso quel tenero essere in formazione che comincia a comprendere di trovarsi in un mondo diverso da quello da cui proviene e tende quindi a uscir dalle fasce per conoscere e adattarsi pienamente allo spazio che lo circonda. Fabulator, il favoleggiatore, prima; fabulor, fabulari, il favellare, poi… Fabulinus agisce, dà il la…

     

    Presso la dolce culla or Fabulino / canterella le favole del mondo, / quelle più belle e antiche, / e la e la e la, e lalla lalla…
    E la casta Matrona sorride felice, e ne dà l’annuncio: “Puero data fandi copia”.

     

    Il lattante in fasce, con il capo volto ai septem triones e i piedini al meridionem, deve ora venir fuori dalla culla. La parola autorevole, le labbra oranti, richiederanno un dì lo “star ritto”, il saper star fermo in piedi e il camminare eretto; l’attitudine a percorrere la diritta via. Uno stimolo ora lo punge, lo spinge… Un’energia sottile? Una misteriosa entità che agisce come “in-dole”, agisce dentro per al/ol-ere, far crescere; forza ingenita? E’ un istinto? Sì! Se lo intendiamo non materialisticamente, ma propriamente nel significato latino di in-stinctus, cioè spinto, stimolato; ex-citatus, eccitato nel senso di fatto venir fuori, svegliato, sospinto. E chi è l’Instinctor? L’Incitatore?

     

    Già Statulino a lui s’appressa, e dice: / “Sta’ ritto sui tuoi piedini, bimbo, / avanza con passo pronto e sicuro, / pargolo, sulle belle, / fiorite rive della Patria tua, / va’, per te sorge la romana aurora!”.

     

    Ed ecco che s’appressa la divina Educa, fata della prima infanzia e severa dea dell’adolescenza! Due verbi latini e un aggettivo: Educo, as, avi, atum, are – educare allevare nutrire; Educo, is, eduxi, eductum, ere – trarre tirar fuori estrarre allevare; Edulis, e – mangereccio che nutre. Educa è tutto questo, è colei che nutre ed educa, favorisce il latte, segue e asseconda la crescita infantile, alleva, guida, estrae dai precordi le virtù congenite. Educa è la lupa capitolina dalle mammelle roride del bianco umore degl’inizi, quei muti primordi in cui chi sa e vede raffigurerà l’Avo primigenio del Natus Patriae. Poiché la Patria è custode della Aeternitas Romae sancita da Giove Invitto.