Flos Flamma Flora, Primavera eterna ove il cielo interiore del Civis incontra il cielo urbico. E lì sta pur Minerva

Alessandro Giuli
Nel luglio scorso, e non avevo ancora visitato il paese salentino di Castro, mi occupai qui di un importante ritrovamento archeologico avvenuto proprio nell’antico Castrum Minervae, prima terra italica d’approdo per i progenitori troiani.

    Nel luglio scorso, e non avevo ancora visitato il paese salentino di Castro, mi occupai qui di un importante ritrovamento archeologico avvenuto proprio nell’antico Castrum Minervae, prima terra italica d’approdo per i progenitori troiani. Si trattava del busto di una statua cultuale della dea Minerva, giacente su di un lato, quasi deposta secondo disposizioni rituali, affinché l’interramento ne preservasse la qualità magica infusa dagli italici sacerdoti di Pallade e accresciuta dalla venerazione popolare fintantoché il tempio non venne demolito da mani violente. Scrivevo così, allora: “Esistono forze impersonali che si attivano nei momenti più delicati o drammatici di un’èra, affinché un oggetto sacro scientemente occultato da moltissimi anni (perfino le mura di una città, sempre consacrate, possono esserlo) torni a manifestarsi: c’è bisogno ora della sua presenza, come una stella remota che deve irradiare la propria luce agli umani, i quali se ne accorgeranno tra qualche lustro vedendola spuntare all’improvviso nel cielo notturno. In questo caso si tratta di Minerva, che è la sapienza in armi posta a protezione dell’Urbe eterna e anche di Atene, è il nume Palladio di cui soltanto i ‘salvati dalle acque’ del divenire possono essere custodi e confidenti abituali, come l’acheo Ulisse e il troiano Nautes, entrambi amici di Enea secondo una sintesi mitistorica che travalica il racconto omerico”.

     

    Quando poi sono giunto in loco, ho potuto soltanto osservare l’involucro ligneo nel quale era conservato il ritrovamento archeologico: la cassa era traforata in due punti dai quali, con l’aiuto di un tempestivo raggio di Sole, fu possibile sentire più che vedere una presenza ancor vivida. Non mi spiacqui d’aver un po’ ecceduto in enfasi, preannunciando che “la Minerva salentina oggi mostra il petto; domani, chissà, potrebbe saettare di nuovo con i suoi occhi di civetta azzurrati e lucenti, propiziando così l’arretramento dell’oscurità e dei suoi numerosi seguaci”.

     

    Oggi leggo su un giornale locale (quotidianodipuglia.it) che “lo scavo a Castro è bloccato per mancanza di fondi. Bisogna che il comune faccia un’altra richiesta di contributo alla Regione o che Bari decida per uno stanziamento speciale perché ciò che sta emergendo a Castro è talmente importante che non si può non continuare a scavare”. Il lamento proviene da Francesco D’Andria, l’archeologo che guida la volonterosa équipe impegnata a Castro. E’ assai spiacevole, ammettiamo. Ma deve esserci anche un significato più profondo, per questo repentino ritrarsi minervale, non basta spiegare il tutto con la leggendaria insipienza delle istituzioni locali e nazionali. E infatti… il medesimo prof. D’Andria confessa: “Proprio l’altro giorno sono stato all’Ambasciata turca a Roma, dove mi hanno spiegato che vogliono fare un grande progetto dedicato al mito di Enea, che è l’eroe fondatore della civiltà occidentale, ma anche un immigrato che veniva dalla Turchia e ha poi fondato Roma… il governatore della regione dove c’era l’antica Troia vuole valorizzare il mito di Enea e per farlo sta organizzando un incontro fra tutti i sindaci delle città dove l’eroe si è fermato. Sindaci, quindi, della Grecia, della Turchia, dell’Albania, dell’Italia, della Tunisia (ricordiamo la sua tappa a Cartagine) e poi della Sicilia e del Lazio. A settembre, quindi, è previsto questo incontro a Roma… sotto l’egida dell’ambasciata turca”. Enea immigrato turco? E, peggio mi sento, un incontro a Roma, sì, ma sotto l’egida asiatica? Come non ricordare che l’egida, la lucente pelle caprina donata da Giove, è l’attributo e lo scudo protettivo di Minerva romana, la provvida Minerva che opera con preveggenza e saggezza? Vogliono, gli incauti o i malintenzionati, che la “glaucopide, la dea gloriosa e colma di saggezza, / dal cuore inflessibile, vergine casta, / intrepida, augusta signora delle arci” (Inno merico ad Athena-Minerva) si consegni a un quisque de Asya. Non si stupiscano, allora, se Minerva, la dea Mens-rua che dà misura al fluire della manifestazione, permane in disparte, accanto a Giove e Giunone capitolini, in attesa che uomini dalla Mente desta, che non si rilassa (non scade) nel sonno letargico, la richiamino in se stessi per poi incontrarla anche al di fuori, e non necessariamente in una statua marmorea, ancorché sopravvivenza di culti ancestrali.

     

    Ma per ridestarsi, per nettare la mente, occorre il fiore fiammeggiante di Flora, di cui oggi culmina il ciclo festivo. Dobbiamo dunque cantare con il migliore Ovidio: “Vel quia purpureis collucent floribus agri, / lumina sunt nostros visa decere dies; / vel quia nec flos est hebeti nec flamma colore, / atque oculos in se splendor uterque trahit… (Fasti, V). Questa la traduzione maggiormente indicata, luminosa secondo misura: “O perché di fiori purpurei rilucono i campi, / s’opinò che ai miei dì di festa si confacessero le faci; / o perché né fior né fiamma sfuggente hanno il colore, / e l’uno e l’altra allettano l’occhio di splendore…”.

     

    Di là dalle interpretazioni tardive e volgari sulla dea efflorescente, al di sopra d’ogni speculazione occultistica o intellettuale sui presunti nomi arcani dell’Urbe, eco storica di Roma Aeterna, i Patres tramandano:

     

     

    FLOS FLAMMA FLORA

     

    Splendore, luce che emana dal vivente, dagli astri, dall’astro Terra, dalla rerum natura, dall’Urbe, dal Tutto… E quando diciamo dal Tutto vi comprendiamo l’Uomo. Abbiamo scritto Uomo con la U maiuscola, cioè il Vir, il Civis nel cui cuore ardono i cinque flammei petali della Rosa, quella Virtus che anima la mente senza macchia e informa l’impersonale agire. Il compimento.
    Quando l’immagine dentro riluce, Flos Flamma Flora, nell’interiorità dell’Uomo si realizza il cielo e nell’Urbe la Pax Deorum; in questo compimento il cielo interiore del Civis e il cielo urbico, un tutt’uno, si congiungono agl’infiniti cieli. La divina Imago interna colluce con l’Effigies della Natura, con le esterne sembianze, anch’esse divine.
    FLOS FLAMMA FLORA
    LA PRIMAVERA ETERNA