Il segreto dell'uovo cosmico (e di quelli al cioccolato) svelato da una coppia di sposi etruschi

Alessandro Giuli

    Sulla parete di fondo nella Tomba degli Scudi a Tarquinia è raffigurata una coppia di sposi regali dignitosissimi che banchettano. Lui si chiama Larth Velcha, che alla lettera potrebbe significare Signore vulcanico, è sdraiato su un kline, ha la pelle rossissima come lava, una bella barba folta e la corona di alloro sulla capigliatura bruna. Lei, Velia Seitithi, che alla lettera potrebbe voler dire la sposa occulta di Vulcano, è bianca come la Luna e, mentre fissa il marito negli occhi e gli accarezza una spalla, con la mano destra gli porge un uovo. Davanti a loro c’è un tavolo apparecchiato con al centro un piatto colmo di uova. Nel mondo etrusco il simbolismo dell’uovo ricorre sia nella pittura sia sotto forma naturale, in alcune necropoli sono state trovate uova vere, anche molto grandi, depositate nei bracieri di bronzo. Intatte ma deposte nel luogo in cui arde il focolare, come per essere cotte dentro un vulcano domestico in miniatura.

     

    Una volta all’anno, quando ascolto la consueta raffica dei “buona Pasqua” scanditi meccanicamente dai volenterosi consumatori di uova al cioccolato, mi tornano in mente gli sposi etruschi e il loro misterioso silente banchetto. Loro forse avevano deciso di farsi ritrarre così per una precisa ragione simbolica, sapevano come tutto ciò che si affaccia alla vita abbia la forma ellittica e levigata di un uovo, perché l’ellisse è un cerchio allungato in cui il tempo comincia a scorrere come nello zodiaco, e perché l’uovo racchiude in sé l’essenza e lo sviluppo di una vita. E’ così, uovescamente, che l’uomo ha immaginato l’origine del cosmo, come insegnavano i sapienti orfici. Qui a Tarquinia l’uovo appare in una dimensione oltretombale, se non ultraterrena. Il post mortem non è che un cambio di stato nel quale tutto si perde, per i più, un po’ come un uovo che va in frantumi; ma non sempre tutto va perduto: se l’uovo è ben cotto, direi anzi sodo come quello che Velia dona al suo riccioluto Velcha, si può dedurre che il destinatario di questo dono sia prossimo a una rinascita.

     

    Ecco, mi piace pensare che i coniugi di Tarquinia conoscessero in profondità il significato del loro gesto. La rossitudine di Velcha simboleggia l’avvenuta vittoria sulla natura inferiore, gli elementi più bassi e volgari dell’ego sono stati debellati attraverso una disciplina che agisce per combustione (com-bustione: il busto, in antico, era appunto l’omaggio di terra-cotta, e solo in seguito di marmo, che si riservava agli avi degni del ricordo, cremati sulla sacra pira funebre come premio per avere arso già in vita la tirannia del corpo). Il biancore di Velia è il segnacolo femminile, è la luce della manifestazione, la D-Iana o dea Luna che illumina il cielo notturno grazie al raggio stellare ricevuto attraverso la porta di Giano, D-Ianus, l’immanifestato.

     

    E l’uovo? L’uovo ha un corpo vile, il guscio, con dentro un’anima lunare, l’albume (da albus: chiaro), e dentro ancora un disco solare giallo-arancio (lo spirito), il tuorlo che viene dal latino torlu(m), diminutivo di torus. Ma torus significa protuberanza, rigonfiamento (il fallo!) e anche il letto coniugale, cioè la sede in cui i consorti (cum+sortes) prendono assieme le sorti del mondo che nascerà dal loro concepimento spiritualizzato, e non soltanto carnale. L’unione del Sole e della Luna.

     

    Favoleggiamo ancora un poco. Immagino che la signora Velia stia donando al suo signore Velcha il simbolo della comune rigenerazione interiore – la cottura perfetta dell’uovo in quel braciere alchemico che è il cuore di ognuno – e la possibilità di una nuova esistenza in una dimensione superiore. Al tempo stesso questo dono oltremondano, frutto dell’amore regale, possiamo identificarlo con la “sorpresa” contenuta dall’uovo.

     

    Ecco perché è bello vedere gli occhi stellati dei bambini quando gli si regala un ovetto e loro, così vicini non solo biologicamente all’uovo che erano fino a poco tempo fa, vengono subito rapiti dal richiamo misterioso della sorpresa, ipnotizzante come uno specchio. Ma consentite loro di mangiare un po’ di cioccolato, mi raccomando, il cacao dei nostri lontani amici atlantidei fa benissimo.