
foto Zé Carlos Barretta via Flickr
La lagna è pizza. Differenze tra Giuliano e il mio pizzaiolo
Adorato l’ottimismo dell’intelligenza del mio amico Giuliano, quando sulla dolce ala della sprezzatura si diverte, se vuole divertirsi o forse è di cattivo umore, a infilzare il pessimismo dei neghittosi, che è la coperta di Linus dell’ideologia e della mancanza di moralità nel guardare le cose per quel che sono. Ieri ne ha dato un brillante saggio, vuole una “moratoria contro la lagna”. Azzecca tutto, pennellata su pennellata. Forse tutto non proprio, ad esempio sulla positiva preponderanza del pizzaiolo egiziano.
A Milano siamo assediati da lagnosi pizzaioli gourmand di nuova generazione, che impongono come dovere sociale le loro farinettiane pizze al lievito madre. Le acciughe, solo di Cetara. Io, mi tengo caro il mio pizzaiolo cinese-brianzolo del venerdì, con le sue pizze surgelate di impegnativa assimilazione. Ha più onestà intellettuale: una pizza è una pizza è una pizza. Mica una lagna (si chiama Giuliano: vedi com’è la vita). Ma soprattutto, alla fine, Giuliano (non il pizzaiolo, intendo) ci ricorda che “eravamo partiti con i sogni militanti del dottor King e con il ‘non domandatevi che cosa può fare il paese per voi, ma cosa potete fare voi per il vostro paese’ di JFK”. Ecco: li hanno ammazzati, quei due. Li hanno ammazzati non quelli della lagna ma quelli cattivi, perché, come dice il Woody Allen talmudico, “chi è malvagio nel profondo del cuore, probabilmente la sa lunga”. E siamo diventati l’occidente alle vongole di Goro. Non è il caso di farne una lagna. Ma rompe le balle, sì.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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