Se Michela Murgia scopre la lavatrice surrogata
Michela Murgia è una scrittrice sarda. Su Rep. parla di “femminicidio” (scegliere parole non fruste, si sa, è il talento degli scrittori). Scrive che “è facile appropriarsi di un nome per rendere le persone personaggi e dire che quelle storie erano le loro e non la nostra”, che detto da una scrittrice è il talento dell’afasia. Comunque, le serve per fare l’elenco delle donne uccise, e niente da ridire. Non fosse che, alla fine, il problema per Murgia sta “in questa strana Italia ancora divisa tra voglia d’Europa e Family Day”, e nel “nodo del potere nascosto in quello che chiamiamo amore”. Perbacco, è tornata dal futuro Anna Karenina, e non ce n’eravamo accorti. Più interessante è quanto scrive online sull’Espresso, un sermone contro le femministe arcaiche che contestano la “maternità surrogata”. Fa un breve corso di storia del femminismo come manco su Wikipedia, spiega che oggi la maternità è bla e bla (citofonare sempre Wikipedia). Al femminismo meccanicista di Murgia, dovrebbero spiegare che oltre alla scissione di maternità e gravidanza la modernità ha inventato anche la lavatrice, che come dice la mamma del suo nuovo direttore ha liberato le donne molto di più. Ma lei preferisce la “gravidanza surrogata”, una vera liberazione che scinde donne e mercato. Perché evidentemente, se la paghi al giusto prezzo low cost, la surrogatrice non è più una donna, è una macchina. Un po’ come la lavatrice. Che per essere una scrittrice moderna, fa più arcaico di quando Gavino Ledda parlava dell’uso delle pecore.


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