Marino e le primarie, la macchina infernale del Pd
Bisogna incominciare a riconoscere a Marino quel che è di Marino. Non tanto che sugli scontrini forse rischia di avere ragione (da queste parti non è mai stato un argomento contro), o comunque potrebbe avere torto come tanti altri. Quanto perché, almeno su un punto, dimostra di avere del genio. Se hai davanti un nemico che proprio ti fa ribrezzo (diciamo, a caso: Matteo Orfini) che fai? Cerchi il punto che gli fa più male e gli molli un calcione: lì. Il punto che fa più male al Pd sono le primarie. Sono come Kerry, la macchina infernale. Nessuno si ricorda neanche più chi sia stato il fesso che le ha inventate, ma oramai non si possono più fermare. E uccidono, Dio mio se uccidono. Un meccanismo raccapricciante. Il Pd le ha create, e sempre perse: con Pisapia, De Luca, Emiliano, Vendola. In Puglia e in Liguria. (Ah sì, Renzi le ha vinte: ma quello mica è del Pd). Adesso Marino, il sindaco con il conto alla rovescia, s’è fatto venire l’idea canaglia: se le fanno, perché non potrei ricandidarmi? Appunto, perché no? La macchina infernale non prevede la marcia indietro. E se si candidasse, forse potrebbe non vincere (ma a Roma, quanti elettori del Pd hanno voglia, oggi, di partecipare alle primarie?), però un danno, al candidato ufficiale del partito, glielo fa. Come Pippo Civati a Milano. Geniale.


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