Parigi non è persa finché (loro) pregano a Saint-Denis
Una mattina uggiosa e feriale sono andato alla basilica di Saint-Denis, dove riposano in pace i re di Francia e la Francia sembra non trovare pace, lì nella banlieue brutta e cattiva di Parigi. La via di fronte già affollata, come una Via del Corso dopo un trattamento Houellebecq. Ma quella mattina d’agosto c’era troppo torpore anche per gli sguardi in tralice agli intrusi europei. Dentro Saint-Denis, la cappella del Santissimo è appena entrati, a sinistra, perché il resto è quasi tutto un museo. Nella cappella del Santissimo c’erano delle donne, africane, asiatiche, che pregavano. Qualcuna in ginocchio. Neanche poche per la mattina feriale e uggiosa. Nella cappella accanto, sempre lì nell’angolo per non disturbare, sotto una bella Madonna col Bambino c’erano i lumini accesi, colorati come in una chiesa di periferia, che in un museo non te ne aspetti così tanti. Un ragazzo africano era in ginocchio. Così che lì, nel mausoleo alla Cristianità che fu, dove ci sono sdraiate sulle loro tombe le effigi dei re che la Storia s’è portati via, e i turisti sorridono perché alcuni hanno le mani giunte e alzate, anche da morti, chissà per pregare quale Dio, lì dove adesso di europei passano solo i turisti, pochi, viene in mente il Vangelo, “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. E che forse il cristianesimo in Francia non è morto, finché loro, gli stranieri, pregano a Saint-Denis.


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