Le parole sono pietre. De Luca e la domanda folle del pm
A Torino c’è stato l’interrogatorio di Erri De Luca, il petroso poeta della disobbedienza civile, a processo per istigazione a delinquere per aver pubblicamente invitato a “sabotare” (la parola pesante è quella) i cantieri della Tav. Qualsiasi cosa se ne pensi (io male, pazienza), ieri De Luca si è difeso con frasi di questo tenore, da pensoso poeta appunto: “In nessuna dellE manifestazioni a cui ho partecipato sono stati commessi atti di violenza e questa è la ragione per cui ho ribadito la mia adesione a questa comunità”. Forse processarlo per disinformazione (intesa la sua) era meglio. Ha detto pure: “Io non ho istigato nessuno. E’ come dire che Messner sia responsabile delle morti in montagna perché invita a scalare le vette. La conseguenza della parola è la parola stessa”. Ora, a parte che il Vecchio della montagna tutto fa tranne istigare al turismo sulle cime, la vera domanda è se sia poi così vero che “la conseguenza della parola è la parola stessa”. E anche qui bisogna dire che no, parole e pietre si assomigliano spesso. Però a un certo punto il poeta biblista ha evocato la città di Gerico, le cui mura furono abbattute da un coro unanime di voci: il cantiere della Tav cadrà, ma per la forza delle parole e non delle molotov. Al che, il pubblico ministero gli ha chiesto: “Parla di Gerico perché conosce la Bibbia?”. Ecco, che De Luca possa essere condannato da un pm che pone una siffatta domanda, è folle. La conseguenza delle domande, a volte, è peggio delle pietre.


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