Cesare Battisti e lo scrivere male che è come ammazzare
Ho letto due romanzi di Fred Vargas.
Ho letto due romanzi di Fred Vargas, di una sua Trilogia tipo giallo, o tipo noir. Ho smesso prima del terzo, scrive da mettere tristezza. Lingua più piatta di un Saviano a corto di gomorrismi, meno senso del ritmo di un Erri De Luca quando versifica. (O forse diversifica, tra un appello al sabotaggio e l’altro). Per adesso non ha detto niente, Fred, è impegnata a presentare un nuovo thriller in cui c’entra qualcosa Robespierre (sarà il fascino per gli ammazzatori). Dunque rimaniamo attestati, in attesa, a quando vergava belle prose trasvolando l’oceano per difendere il “perseguitato politico”, cioè il suo amico italiano. Ma poiché la cattiva lingua è proprietà transitiva, e si trasmette da giallista a giallista come la gramigna nel campo, il suo amico Cesare Battisti ha concimato da par suo, ieri, sul Monde, il suo immaginifico complotto da dispaccio d’agenzia: “Ennesimo tentativo di destabilizzazione orchestrato contro di me”, ha detto. E perbacco, non era proprio necessario diventare scrittori, per poi incartare in una “destabilizzazione” da Wu Ming la tuttora remota probabilità che un giudice brasiliano ti rimandi, alla buon’ora, a scontare qualcuna delle quattro vite che t’avanzano in un gabbio italiano, punizione di un’altra vita, ma pure quella tua, in cui rapinavi e ammazzavi peggio di come adesso scrivi. E nessuno oserà dire l’infamia che scrivere male è come ammazzare. Però forse aiuta, e meriterebbe un aggravio di pena.


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