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Venezia 2025

Ovunque Servillo. Il monumento che Sorrentino ha scritto per la sua musa

Mariarosa Mancuso

L’apertura della mostra punta tutto su un attore-feticcio, al centro della scena nei panni di un capo di Stato invischiato in dilemmi morali e memorie dolorose. Accanto, un film d’autrice racconta con sobrietà gli inizi di una futura santa, interpretata da un volto celebre del cinema nordico

Se non amate alla follia Toni Servillo, meglio astenersi. Implacabile, occupa ogni inquadratura. Con la complicità del suo regista Paolo Sorrentino, ovvio. Più che un copione, gli ha scritto addosso un monumento. Da questo punto di vista, neanche “La grande bellezza” dimostrava pudore e reticenza. Ma c’erano altri personaggi, che con fatica tra un fenicottero e una santa con la ciabatta penzolante riuscivano ritagliarsi a un angolino. “La Grazia” – ieri, in apertura della Mostra di Venezia – regala alla musa Toni Servillo il ruolo di presidente della Repubblica italiana, ogni riferimento a persone o cose accadute è puramente casuale. Trovate voi le somiglianze: si chiama Mariano De Santis, ha una figlia di nome Dorotea e un figlio lontano, è vedovo di una moglie amatissima. Ogni tanto va a fumare una sigaretta di nascosto, complice un corazziere del Quirinale. Mancano sei mesi alla fine del mandato presidenziale, ci sarebbe da firmare una legge sull’eutanasia che la figlia Dorotea – anche lei insigne giurista, dicono – corregge e modifica, ma il genitore continua a rimandare. Ci sono due domande di grazia da esaminare. Delitti coniugali, in entrambi i casi. C’è da immaginare chi sarà eletto dopo di lui. Un pensiero fisso va alla consorte, che in tempi lontani lo ha tradito, e il cuore di maschio che batte in petto al presidente vorrebbe sapere il nome del fedifrago. C’è Coco Valori, per dare un tocco di bizzarria – nelle parodie dell’acclamato regista, vedi alla voce “fate entrare la nana”. C’è un Papa nero con i capelli rasta, che si allontana in motocicletta.


Ci sono anche i dilemmi morali, risolti alla Sorrentino. Battute e sentenze che si presentano paludate. Se uno ci pensa un attimo su, svaniscono nell’aria o nel buon senso. Ma è la sorrentiniana way of cinema, ha i suoi cultori, i suoi fedeli, i suoi profeti. Durante la serata d’apertura, Werner Herzog ha ricevuto il Leone alla carriera: grandissimo regista senza fronzoli, il modello opposto a Paolo Sorrentino e pure a Francis Ford Coppola che lo ha premiato. La sezione Orizzonti – dotata di un suo concorso dedicato alle nuove tendenze estetiche e artistiche – si è aperta con “Mother” di Teona Strugar Mitevska, regista e sceneggiatrice macedone con studi alla Tisch School of the Arts di New York. Film precedenti: lo scatenato “Dio è donna e si chiama Petrunya” e il più controllato “L’’appuntamento”: uno speed date che fa incontrare una donna con il soldato che le aveva sparato trent’anni prima. “Mother” racconta gli inizi di Madre Teresa di Calcutta, che era albanese e nata a Skopje, Macedonia. La vediamo mentre si aggira operosa nei corridoi del convento delle suore di Loreto, a Calcutta, e poi nelle strade tra i poveri, i malati, i miserabili. 


Siamo nel 1948, Madre Teresa aspetta dal Vaticano la missiva che le consentirà di fondare il suo ordine, le Missionarie della Carità. Intanto si occupa di una consorella incinta – verrebbe da qui, secondo la regista, l’ostinata contrarietà della missionaria all’aborto. L’attrice è Noomi Rapace, Lisbeth Salander nei film tratti dal best seller di Stieg Larsson “Uomini che odiano le donne”. Soggolo e velo, calze grigie e ciabatte, viso angelico che è una licenza poetica: lo spettatore che si aspetta il cinismo di Christopher Hitchens nel volumetto “La posizione della missionaria” rimarrà deluso. Chi verso le dieci del mattino si fosse affacciato sulla spiaggia del Lido, avrebbe visto i Pro Pal – pochi – che sventolavano le loro bandiere. Una prova generale per la manifestazione del prossimo sabato. O un servizio fotografico, con il sole in fronte.

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