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IL RACCONTO

Pescasseroli e il cinema, una storia oltre lo schermo

Giuseppe Fantasia

Le vacanze di Ettore Scola e la sua famiglia, il film di Riccardo Milani e gli ospiti di Paride Vitale: così cultura e showbiz attraversano il paesino abruzzese

Pescasseroli, in provincia dell’Aquila, 150 chilometri da Roma: come era e come è. Ne parliamo con Silvia Scola, figlia del grande regista Ettore che qui fu tra i primi a prendere casa nel 1965. “Glielo fece scoprire Agenore Incrocci, per tutti Age, il suo sceneggiatore insieme a Furio Scarpelli, che aveva una casa proprio a Pescasseroli, mi pare di ricordare che fosse della sua famiglia. All’inizio noi andavamo in affitto al residence Prato Verde, dove poi comprammo un appartamento. Negli anni trovammo la nostra casa attuale, una villa isolata fuori dal paese dove papà e i suoi amici/colleghi venivano a lavorare lontano da tutto e da tutti, un vero e proprio buen retiro dove non erano mai sperduti, ma in pace, circondati dai rapporti più veri e più umani. All’epoca – continua Silvia che si è raccontata con sua sorella Paola nel libro "Chiamiamo il babbo", uscito poco dopo la morte del regista per Rizzoli – Pescasseroli era un luogo ameno anche se più conosciuto rispetto agli altri centri, non era meta di turismo come poi è diventata. La comunità è rimasta sempre la stessa. Inizialmente era forse più guardinga e chiusa nei confronti di chi come noi veniva a passare le vacanze. Negli anni il loro atteggiamento è cambiato, perché quella loro freddezza non era ostilità, ma un modo di essere e di vivere diversamente, una maniera di proteggersi, di conoscere prima di fare un gesto”. Del resto, “la montagna lo fa”, come viene ripetuto spesso in "Un mondo a parte", il nuovo film di Riccardo Milani girato a Pescasseroli, con protagonisti Antonio Albanese e Virginia Raffaele insieme a diversi bambini e persone originarie proprio del paesino, in uscita il 28 marzo prossimo per Medusa Film.

“All’improvviso – continua Silvia – ci fu una grande accoglienza da parte di tutto il paese, dai singoli come dai negozianti. Qui ci venivo tutte le estati tutta l’estate e tra me e Pescasseroli, da buona adolescente, c’era dunque un rapporto di amore e di odio trasformatosi ben presto in un grande senso di libertà. La casa era ed è poco fuori dal paese, si usciva e si andava per i boschi da soli a fare lunghe passeggiate o il bagno al fiume, a Roma era impensabile. Oggi è una meta turistica d’inverno e d’estate, i luoghi sono rimasti gli stessi come le persone e i rapporti. Ci continuiamo a venire perché quella radice di verità e di impegno nel risolvere le piccole cose c’è ed è evidente. Pirandello diceva giustamente che nella vita si incontrano tante maschere e pochi volti, qui, come in tutti i piccoli posti, ne ho e ne abbiamo sempre trovati tanti e di veri. Ricordo ad esempio quando organizzammo negli anni Settanta un grande festival dell’Unità al quale prese parte tutta la popolazione del paese, personaggi famosi – che per mia sorella e per me erano “gli amici di papà” – e gente comune, si pranzava e si festeggiava tutti insieme. Poi a casa nostra c’era tutto un via vai di gente che veniva a trovarci da Roma e non solo, da Vittorio Gassman ad Alberto Sordi, da Dino Risi a Federico Fellini, giusto per citarne qualcuno. Ricordo un capodanno che finì in tregenda perché ci fu una lite. Nella nostra villa di tre piani, c’erano tredici posti letto, ma riuscivamo ad ospitarne a dormire sempre molti di più. Quell’anno eravamo in tanti. C’erano Marcello Mastroianni e suo fratello Ruggero, il montatore, con sua moglie; c’erano Marco Ferreri con la compagna Jacqueline, lo sceneggiatore Ugo Pirro, Age e Scarpelli e altri. Ad un certo punto scoppiò una lite furibonda tra Pirro e la sua compagna che finì col coinvolgere tutti, formando csoì due fazioni opposte dentro casa in una serata a dir poco movimentata”.

Sempre grazie a Scola arrivò qui anche la scrittrice Dacia Maraini. “Con lei i miei erano molto amici da tanti anni, mia madre Gigliola aveva fatto teatro nel suo laboratorio di scrittura teatrale. Un anno la invitarono a stare qui da noi per due giorni e se ne innamorò a tal punto che decise di comprarvi casa poco distante da noi. Quella casa immersa nel verde è diventata il posto dove scrive tutte le sue cose, romanzi e non, quando non è a Roma o in giro per il mondo. Pescasseroli è per lei è sacrale: scrive dalle sei del mattino fino alle 11 e 30 e poi scende in paese. Piera degli Esposti era sempre sua ospite, a volte venne anche Alberto Moravia”.

Nella villa accanto, da anni ci sono ogni volta che possono Riccardo Milani e Paola Cortellesi con la figlia Laura e con i loro amici più cari, Laura Pausini in primis, che quando gira per le viuzze del centro storico con un capellino e gli occhiali da sole viene scambiata per una turista qualunque e non la riconosce nessuno. Come non riconosce nessuno dei tanti ospiti (da Maurizio Cattelan a Geppi Cucciari, da Victoria Cabello a Cristiano Caccamo, Rita Rusic, Natasha Stefanenko, Diego Passoni e molti altri) del pr Paride Vitale, originario proprio di Pescasseroli, che poco distante ha la sua casa e presto il suo hotel che si chiamerà Parco, per ricordare il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise che con le sue faggete Vetuste, patrimonio Unesco, ha festeggiato da poco i suoi cento anni. “Saint Moritz trema”, ironizza il pr, ma neanche più di tanto, anche perché qui, e nel vicino paesino di Opi, Riccardo Milani, come già detto, ha deciso di ambientare il suo nuovo film scritto con Michele Astori. Una nuova vetrina per il paesino abruzzese. 

Il film è un invito a fare di tutto per difendere la propria identità, la capacità di decidere e partecipare, da protagonisti, alla vita attiva di un paese come questo. Una vera e propria “resistenza culturale” – come la definisce il regista parlando con il Foglio – contro l’indifferenza e la rassegnazione, come insegna il poeta abruzzese Cesidio Gentile, detto Jurico (1847-1914), a cui è dedicato l’istituto scolastico del film. Partire e restare sono i due poli della storia dell’umanità. Al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare, edificando un altro senso dei luoghi e di sé stessi. È quello che Vito Teti chiama "La Restanza" nel suo omonimo libro Einaudi, cioè il sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente.

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