C'è poco da scherzare quando si parla di nouvelle vague del cinema italiano

Giacomo Giossi

Dal 2008, con il successo internazionale di “Gomorra” e “Il Divo”, la settima arte nel nostro paese mette discussione se stessa e individua nuove aree e terreni di sviluppo. Oggi il panorama è migliore di quanto sembri. Un libro di Vito Zagarrio

Parlare di nouvelle vague italiana, relativamente al cinema italiano degli ultimi anni, potrebbe apparire un’esagerazione se non una battuta un po’ cinica, ma la verità è che il panorama che abbiamo davanti è migliore di quanto si possa intravvedere a un primo sguardo distratto. 

   
A raccontarlo in un libro, dotto e ricchissimo di analisi critica, è Vito Zagarrio che vent’anni fa con il fortunato Cinema italiano anni Novanta, presentava lo stato dell’arte di un cinema che andava a chiudere un secolo e con esso il cinema dei maestri e degli autori che avevano fatto grande il cinema italiano del Novecento. Con Nouvelle vague italiana, Zagarrio prosegue la sua mappatura non limitandosi all’analisi delle opere, ma offrendo una lettura del contesto dentro al quale i film sono maturati e hanno raggiunto gli spettatori. Il punto di svolta è probabilmente il 2008 quando Garrone e Sorrentino con “Gomorra” e con “Il Divo” ottengono la ribalta e il successo internazionale. Da allora il cinema italiano ha saputo mettere in discussione se stesso individuando aree e terreni di sviluppo a partire dalla scrittura fino a una distribuzione non più soltanto limitata alle sale e in seconda battuta alla tv generalista.

   

In questo quadro hanno preso vita una serie precedentemente impensabile di opere. Si pensi a titolo di esempio alla serie nata da Gomorra, ma anche alla forma documentario che dai successi di un maestro come Gianfranco Rosi e Pietro Marcello ha prodotto lavori raffinati e liminali come quelli di una grandissima regista troppo presto scomparsa come Valentina Pedicini e  di un artista come Yuri Ancarani che con Atlantide ha trovato una chiave inedita e per certi versi popolare per raccontare Venezia e la sua laguna come da tempo nessuno pareva essere più in grado di fare.

   

Certamente non mancano le ataviche carenze di un sistema cinema sempre troppo piccolo e sempre facile ad una tendenza ombelicale, ma quello che è avvenuto negli ultimi vent’anni non era affatto scontato. Partendo da una situazione industriale limitata, per non dire abborracciata, si sono comunque colte alcune opportunità venute dalla radicale trasformazione dei canali sia produttivi che distributivi. Così come non era immaginabile il superamento con una consapevole distanza da quello che è stato il grande cinema italiano che per tutta la fine del Novecento ha però offuscato e reso risibile ogni tentativo di sperimentazione e di fuoriuscita. E forse è proprio qui il merito principale del libro di Vito Zagarrio, quello di presentare fuori dagli entusiasmi del momento un passaggio di stato che ha portato – quasi sempre sulle spalle di produttori e autori indipendenti – il cinema italiano fuori dalle secche del Novecento con la capacità che forse è tipica dei piccoli di affrontare il futuro con curiosità e senza inutili pesi accessori.

 

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