Ode al materno

Il film francese “Selfie di famiglia” è un manifesto controcorrente. Un antidoto al gelo demografico

Eugenia Roccella

I film, tranne poche eccezioni, hanno ormai vita breve, a volte brevissima, e “Selfie di famiglia”, arrivato nelle sale il 19 settembre, sembra già scomparso. Chi ancora può vederlo, però, lo faccia. L’aggettivo più adoperato nelle recensioni è “tenero”, e momenti di tenerezza ne ha tanti. Ma definirlo così è fargli un torto, perché Selfie è un film eroico, una fantastica glorificazione del materno, senza un pizzico di retorica. Non c’è storia, non c’è vera trama. Il pretesto per raccontare la vita di Héloise è la partenza della più giovane dei tre figli, Jade, che va a studiare in Canada.

 

Per il resto, c’è la quotidianità, i piccoli episodi che riempiono le giornate della protagonista. Non è però un film minimalista, di gesti e silenzi, e men che meno un film calligrafico. E’ vitale e vero come la sua protagonista, una straordinaria Sandrine Kiberlain, attrice che riempie lo schermo ma riesce a farlo con assoluta discrezione, con una naturalezza invidiabile. Héloise è una donna di oggi, sola come tante, capace di mantenersi con il proprio lavoro e di mantenere i figli, mentre il loro padre è assente, distratto, forse più attento ai figli della nuova compagna. Lui l’ha tradita ma è lei che ha scelto la separazione, concentrandosi sul ruolo materno, privilegiandolo senza sconti. In questo ruolo Héloise riversa creatività, capacità di cura, l’allegria di vivere immersa dentro le relazioni affettive, e ovviamente oblatività. Gli uomini ci sono, ma non prendono spazio, non si installano nella sua vita familiare. Héloise non cerca più un compagno, e tantomeno un altro padre per i figli; le sue brevi avventure, disinvolte quanto basta, sono marginali, piccole evasioni che lascia cadere senza rimpianti. Ha le sue amiche, con cui prende l’aperitivo e va a ballare, non si è fatta atterrare dalla delusione matrimoniale, non ha aperto un conflitto con l’ex, e, in una scena che dice molto sulla coppia, rifiuta di smascherare le bugie dell’uomo davanti ai figli. Héloise è andata avanti senza guardare più indietro, ha fatto una scelta. E’ una mamma come tante, che cerca di tenere tutto in piedi, che si arrangia, sbaglia e ci ripensa, ma ha un legame forte e felice con i figli e con il proprio padre.

 

“Selfie” è un film francese, di una regista francese (Lisa Azuelos, tra l’altro figlia della magnifica Marie Laforêt), e purtroppo si vede che non è italiano, per contenuto, recitazione, linguaggio. Peccato, perché sarebbe un perfetto antidoto contro il gelo demografico, per far toccare con mano, come solo le immagini sanno fare, la meraviglia del materno, la gioia profonda che può dare la cura, insomma la realtà dell’utopia femminile, l’unica nonviolenta che si conosca. Non è un’utopia della perfettibilità, come lo sono in genere quelle maschili, non insegue l’idea di cambiare l’essere umano, solo di renderlo migliore accettandolo, accettando perfino il distacco. Le donne sono capaci di rifare ogni giorno il mondo, nella ripetizione paziente dei gesti di cura, rimediando, sistemando, improvvisando. Qualcuno lo chiamerebbe sacrificio, perché non si antepone il proprio bene a quello delle persone amate, ma è semplicemente un modello di felicità diverso da quello mainstream, concentrato sul benessere immediato, da consumare all’istante.

 

Jade alla fine parte per il Canada, e la madre l’accompagna all’aeroporto. La ragazza tira fuori un vecchio diadema con cui giocava da piccola, e glielo offre come ricordo, anzi glielo mette in testa. Nelle ultime immagini Héloise si allontana in mezzo alla folla con la corona sui capelli, qualcuno la guarda, ma lei non ci bada, è immersa in sentimenti e pensieri tutti suoi. E’ una regina.

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