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Tutte le femmine sofferenti e masochiste di Isabelle Huppert

Mariarosa Mancuso

Il gioco di fioretto tra l’attrice intervistata che non vuole dire niente e l’intervistatrice Marie-France Etchegoin che vuole comunque portare a casa il pezzo di copertina

Non siamo grandissimi fan di Isabelle Huppert. Dopo averla vista a un’età impressionabile mentre si lasciava morire d’amore in “La merlettaia” di Claude Goretta abbiamo tenuto le distanze di sicurezza. Per controprova siamo andati a controllare cosa dicevano, e ahimè ancora dicono, del film: tutto un peana alle virtù del silenzio, al mutismo della parrucchiera, alla ricca vita interiore che però resta incomunicabile (consola sapere che i pregiudizi sono fondati). L’elenco di femmine sofferenti e masochiste che ha in curriculum - fanno eccezione la parricida in “Violette Nozière” e la sterminatrice di famiglie in “Il buio nella mente” di Claude Chabrol – non hanno aiutato.

 

Non siamo fan sfegatati, ma neppure masochisti al punto da lasciarci sfuggire un numero di Vanity Fair (edizione francese) che ha in copertina Isabelle Huppert con in braccio un felino all’apparenza selvaggio. Ribadisce lo strillo: “Conversations sauvages” con l’attrice, infanzia famiglia marito e sfide. “Ses fêlures”, addirittura. Vale a dire le sue fragilità, ma siccome la parola era usata da Emile Zola per le tare ereditarie dei suoi personaggi pregustiamo inenarrabili pettegolezzi.

 

Invece è tutto un gioco di fioretto tra l’intervistata che non vuole dire niente, e l’intervistatrice Marie-France Etchegoin che vuole comunque portare a casa il pezzo di copertina, da intitolarsi “L’indomabile”. Si comincia con le due signore che fanno le facce – Isabelle Huppert che si schiaccia il naso e fa il porcellino, ricordando la volta che Michael Haneke le disse di atteggiarsi a “vecchio cavallo con i denti sporgenti” (si era alla fine di “La pianista”, un film che abbiamo odiato con tutte le nostre forze, e non sono deboli).

 

Fine dell’intermezzo comico. L’attrice viene definita “calorosa come un punteruolo da ghiaccio” (chapeau per il professionismo, di entrambe: negli Usa saresti bandito dalle conferenze stampa, in Italia non lo fa nessuno perché tengono all’amicizia). E infaticabile lavoratrice. Non proprio come appare nella serie Netflix “Chiami il mio agente” – dove dà un’altra prova di autoironia, nella parte di se stessa che gira contemporaneamente un film con un regista americano e un film con regista francese – ma quasi. Nella serie è Caterina De’ Medici agonizzante, sul set della serie approfittava del letto a baldacchino per i pisolini tra un ciak e l’altro.

 

Quanto alla recitazione, dopo un giro di paradossi-paravento, si arriva finalmente alla resa dei conti: “Sono interessata solo a me stessa, non faccio la regista perché preferisco girare il mio film dentro quelli altrui”. L’intervista avviene in una sala da tè, una cliente si avvicina per offrirle un cioccolatino, lei lo prende e lo appoggia sul piattino. Alla fine dell’intervista, lo riprende in mano e chiede: “Ma non sarà avvelenato?”.

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