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Adelante sì, ma con tanto juicio. Una nomina per capire che pontificato sarà
Il Papa ha nominato mons. Filippo Iannone, carmelitano di 67 anni, prefetto del dicastero per i Vescovi. È la prima e attesa scelta “di peso” di Leone XIV nella curia vaticana
Quello di Leone XIV non sarà un pontificato di gesti eclatanti e roboanti, il filo conduttore che si delinea con forza è la mitterrandiana force tranquille. Prevost non vuole rotture drastiche
Roma. Il Papa ha nominato mons. Filippo Iannone, carmelitano di 67 anni, prefetto del dicastero per i Vescovi. E’ la prima e attesa nomina “di peso” di Leone XIV nella curia vaticana. Il successore di Robert Prevost, dunque, è un napoletano che dal 2018 rivestiva l’incarico di prefetto del dicastero per i Testi legislativi. Prima d’allora era stato vicegerente di Roma, vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo, vescovo ausiliare di Napoli. La nomina dice qualcosa anche su cosa ci si debba attendere dal pontificato corrente. Innanzitutto, Leone non legge – o non ci bada troppo – i giornali: mai, in questi mesi di chiacchiericcio curial-mediatico, era saltato fuori il nome di Iannone. Tutti davano per ultrafavorito Luis Antonio Tagle, convinzione resa più forte forse dal fatto che il cardinale filippino avesse abbottonato la talare del Papa in un recente incontro: gesto che molti esperti avevano valutato come segno d’affiatamento e chiaro indizio di una imminente nomina. In un pontificato in cui nessuno sa niente, dove i pettegolezzi circolano ma sono talmente variegati da risultare non credibili, ci s’appiglia a tutto. Anche, appunto, ai bottoni. Invece, Leone XIV dopo quattro mesi e mezzo di riflessione e preghiera, ha scelto questo curiale di basso profilo che Francesco non aveva creato cardinale.
Mons. Iannone è un uomo colto e mite, privo di ambizioni al presenzialismo costante sui mezzi di comunicazione; da chi l’ha conosciuto viene definito rispettoso dell’autorità costituita, obbediente come deve essere obbediente un vescovo e meticoloso nel suo lavoro. Equilibrato nel giudizio e lontano dalle logiche di schieramento che hanno lacerato curia e Chiesa negli anni del pontificato bergogliano.
Quel che rileva, in ogni caso, è che Leone XIV ha scelto un canonista. Cioè un uomo di legge. E anche questo è un elemento significativo: c’è bisogno di mettere ordine alla macchina e in particolare alla fabbrica dei vescovi. Troppe nomine, negli anni, si sono rilevate affrettate e/o sbagliate – basti considerare l’anomalo e abnorme numero di vescovi che, nominati, hanno rinunciato poco prima dell’ordinazione –, troppe volte parroci inesperti e acerbi sono stati catapultati in realtà dove, non per colpa loro, si sono rivelati incapaci di governare uomini, finanze e burocrazie. Prevost tutto questo lo sa, così come sa meglio di tutti che spesso con Francesco la selezione dei vescovi non passava dal dicastero competente, bensì dal salotto di Santa Marta: un colloquio con un amico, una segnalazione, un libro. E si veniva elevati all’episcopato. E’ sempre accaduto nella storia della Chiesa, non è certo stato Francesco il primo a scegliere i presuli senza considerare il giudizio o il vaglio degli esperti – Giovanni Paolo II scelse d’impeto il biblista gesuita torinese Carlo Maria Martini per la sede di Milano, lasciando interdetto il clero ambrosiano – ma nel suo pontificato tali episodi si sono moltiplicati, con cardinali (per lo più italiani e statunitensi) che si vantavano maldestramente in cene e aperitivi di nominare i vescovi grazie al rapporto privilegiato con Francesco. Che poi fosse vero o si trattasse di umane vanterie, è un altro discorso.
A ogni modo, la scelta del carmelitano Iannone conferma quanto già s’era intuito in questi mesi: quello di Leone XIV non sarà un pontificato di gesti eclatanti e roboanti, il filo conduttore che si delinea con forza è la mitterrandiana force tranquille: adelante sì, ma con juicio. Prevost non vuole rotture drastiche e prova ne è la conferma ad aliud quinquennium del segretario del dicastero, l’arcivescovo brasiliano Ilson de Jesus Montanari, scelto da Francesco e inviso (molto) ai settori più conservatori della curia. Per superare le polarizzazioni c’è bisogno di creare legami e favorire l’unità. La Chiesa non è “The Apprentice”, lo show tv in cui Donald Trump eliminava l’uno dopo l’altro i concorrenti, rispedendoli a casa. Si può stare anche assieme pur avendo orientamenti diversi, purché rispettosi dell’autorità. Dopotutto, parlando per la prima volta davanti ai fedeli in piazza San Pietro, Papa Leone XIV ricordò che “con voi sono cristiano e per voi vescovo”. Un modo soft per ricordare un principio sempiterno: cum Petro sì, ma anche sub Petro. La strada indicata dal Pontefice con la sua prima vera nomina di peso delinea un pontificato senza troppi scossoni. Almeno, questa pare essere l’intenzione. Del domani, come noto, non v’è certezza.