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le parole del pontefice

La cosa più importante dell'intervista a Papa Leone XIV riguarda la sinodalità

Matteo Matzuzzi

Più che le parole su Musk, conta quello che il Pontefice ha detto sulla sinodalità. E non è una bella notizia per chi vuole trasformarla in dogma di fede

“Non penso che vedrò le donne prete durante la mia vita”, ha detto in un’intervista in Germania il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing. Sconsolato e rassegnato dopo anni di tensioni con Roma, abbassa il livello delle richieste e (lamentando la carenza di sacerdoti) spera almeno nel via libera alle diaconesse. Forse, chissà, aveva avuto qualche soffiata sulla lunga intervista (tre ore complessive) concessa dal Papa a luglio alla giornalista di Crux Elise Ann Allen, che tra pochi giorni uscirà nella forma integrale nel volume Leo XIV: Citizen of the World, Missionary of the XXI Century, edito da Penguin Perù. 

In particolare, qualcuno avrà detto a Bätzing ciò che Leone XIV afferma sulla sinodalità, che di tutte le anticipazioni fornite – Musk compreso – è finora la cosa più rilevante: “La sinodalità è un atteggiamento, un’apertura, una disponibilità a comprendere. Parlando della Chiesa, questo significa che ogni singolo membro ha una voce e un ruolo da svolgere attraverso la preghiera, la riflessione... attraverso un processo. Ci sono molti modi in cui questo può avvenire, ma sempre attraverso il dialogo e il rispetto reciproco. Riunire le persone e comprendere quella relazione, quell’interazione, creare opportunità di incontro, è una dimensione importante del nostro vivere come Chiesa”. Certo, ammette il Pontefice, “alcune persone si sono sentite minacciate da tutto questo. A volte vescovi o sacerdoti possono pensare: ‘La sinodalità toglierà la mia autorità’. Ma non è questo il significato della sinodalità, e forse l’idea che hai della tua autorità è un po’ fuori fuoco, sbagliata. Penso che la sinodalità sia un modo per descrivere come possiamo camminare insieme, essere una comunità, cercare la comunione come Chiesa. Una Chiesa il cui obiettivo principale non è la gerarchia istituzionale, ma piuttosto il senso del ‘noi insieme’, ‘la nostra Chiesa’. Ogni persona – ha proseguito il Papa – ha una vocazione: sacerdoti, laici, vescovi, missionari, famiglie... Tutti hanno una vocazione specifica che hanno ricevuto, un ruolo da svolgere, qualcosa da offrire. E insieme cerchiamo il cammino per crescere e camminare come Chiesa. E’ un atteggiamento che, secondo me, può insegnare molto al mondo di oggi. Poco fa parlavamo della polarizzazione: penso che la sinodalità sia una sorta di antidoto, un modo per affrontare alcune delle sfide più grandi che oggi abbiamo nel mondo. Se ascoltiamo il Vangelo, se lo meditiamo insieme, se cerchiamo di camminare insieme, ascoltandoci a vicenda, cercando di capire cosa ci sta dicendo oggi Dio, abbiamo molto da guadagnare”. Da qui l’auspicio: “Spero davvero che il processo cominciato molto prima dell’ultimo sinodo – almeno in America latina, dove ho raccontato la mia esperienza – possa continuare. Alcune esperienze della Chiesa latinoamericana hanno davvero contribuito alla Chiesa universale. Penso che ci sia grande speranza, se riusciremo a continuare su questa strada e trovare modi di essere Chiesa insieme. Non si tratta di trasformare la Chiesa in un sistema democratico, perché se guardiamo a molti paesi oggi, la democrazia non è necessariamente una soluzione perfetta a tutto. Ma si tratta di rispettare e comprendere la vita della Chiesa per quello che è, e dire: ‘Dobbiamo farlo insieme’. Penso che questo offra una grande opportunità alla Chiesa, e anche un’opportunità per la Chiesa di entrare in dialogo con il mondo. Dalla fine del Concilio Vaticano II, credo che questo sia stato significativo – e c’è ancora molto da fare”. 

Non a caso uno dei principali esperti di questioni vaticane, John Allen (che poi è il marito dell’intervistatrice), ha notato che quantomeno c’è quel che pensa il nuovo Papa sulla sinodalità non è proprio la stessa cosa dei più decisi a usarla per scardinare e/o rivoluzionare la Chiesa. Intanto, premette Allen, “per Leone, l’idea che la Chiesa debba camminare insieme, discernere insieme e ascoltarsi reciprocamente non è una riforma opzionale né un esperimento pastorale temporaneo. È piuttosto un’espressione irrinunciabile di ciò che significa essere Popolo di Dio. In questo senso, Leone si presenta non come una rottura rispetto a Francesco, ma come colui che ne continua e consolida l’eredità”. Detto ciò, però, “forse pensando anche a quei cattolici che avevano una sorta di allergia verso tutto ciò che percepivano come proveniente dal Papa argentino, Leone suggerisce con delicatezza che l’idea della sinodalità ha in realtà radici molto più profonde” e non è una novità degli ultimi anni. Infine, ed ecco il punto clou, “Leone lascia intendere che preservare l’ideale della sinodalità non significa necessariamente mantenere tutte le strutture, le procedure e i sistemi messi in atto da Francesco stesso”. Il Papa “ha suggerito che ciò che conta davvero è preservare lo spirito della sinodalità, pur rimanendo aperti a modalità diverse per metterlo in pratica”. 

Fin dalla sua elezione, ogni volta che Prevost ha parlato di sinodalità ha insistito sul fatto che trattasi di “stile”, di un “atteggiamento che ci aiuta ad essere Chiesa”. E non un “metodo pastorale” usato o non di rado minacciato per democratizzare la Chiesa, come accaduto con il Cammino sinodale tedesco. Non è neppure la sinodalità come intesa dagli alfieri del percorso inaugurato ormai anni fa e che ha avuto un anno fa in Vaticano la sessione che inizialmente si riteneva essere quella conclusiva (quella con i tavoli circolari modello sala da bingo, per riportare il ricordo alla memoria). Leone XIV sembra dire che il processo andrà avanti ed è irreversibile – dopotutto, alla Chiesa sinodale aveva accennato già alla prima apparizione alla Loggia delle Benedizioni dopo l’elezione – ma aggiungendo che c’è modo e modo di farlo. E il modo non sembra essere quello auspicato sulle rive del Reno né quello caro ai gestori dell’assise corrente, i cardinali Mario Grech e Jean-Claude Hollerich. Prevost non vuole spaccature: il suo obiettivo, e ormai lo si è capito, è l’unità. Meta raggiungibile a patto di non fissarsi sulle proprie posizioni ideologiche: né un rifiuto totale della sinodalità né la sua esaltazione a dogma. “La sinodalità è una cosa seria”, disse un presule orientale alle riunioni concistoriali della fine d’agosto del 2022, portando l’esempio – appunto – di come si facciano i Sinodi nell’oriente cattolico. Il Papa ha parlato dell’esperienza in America latina. Cambiano i continenti ma non la sostanza: Sinodo sì, ma piano con le rivendicazioni.

 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.