
Papa Leone XIV (LaPresse)
L'analisi
Tempo da Leone. Una citazione agostiniana del Papa delinea il percorso che attende la Chiesa
La storia non è padrona delle nostre vite, ma nemmeno noi siamo padroni della storia. Del resto nessuno può controllare la totalità delle conseguenze del proprio agire
"Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi”. Con questa citazione di Agostino, il 12 maggio scorso, Papa Leone XIV si è rivolto ai rappresentanti dei media convenuti a Roma per il conclave di qualche giorno prima. Una citazione che, unitamente ai continui richiami alla centralità di Gesù Cristo e all’unità della chiesa, non sembra lasciare dubbi circa l’orizzonte all’interno del quale il nuovo pontefice intende impostare il suo magistero in generale e quello sociale in particolare. Ovviamente ci dirà il tempo come tutto questo evolverà; sarebbe semplicemente ridicolo avanzare previsioni fin da adesso. In ogni caso la citazione di Agostino mi sembra una sorta di premessa epistemologica particolarmente significativa per affrontare con efficacia le sfide del momento storico che stiamo attraversando.
Essa ci dice almeno due cose fondamentali: la prima è che esiste una dimensione del tempo che è semplicemente nostra. Non siamo inseriti come marionette in un tempo che segue un corso determinato. Non esiste alcuna necessità storica. Il tempo è nostro. Ma, ed ecco la seconda cosa fondamentale, non lo è nel senso che ne siamo i padroni, bensì nel senso che dobbiamo “viverlo bene”, sentire la responsabilità di ciò che facciamo, accettando nel contempo la logica dei “servi inutili”. Facciamo il nostro e lasciamo che Dio faccia il suo, senza confondere le nostre con le sue vie. Insomma “viviamo bene e i tempi saranno buoni”. La storia non è padrona delle nostre vite, ma nemmeno noi siamo padroni della storia. Accettiamo dunque la precarietà, la contingenza, l’imprevedibilità, l’imperscrutabilità di molto di ciò che accade nel mondo come una sorta di naturale conseguenza della nostra libertà e delle nostre limitate capacità di conoscenza. Del resto nessuno può controllare la totalità delle conseguenze del proprio agire; per nostra fortuna la nostra responsabilità è sempre limitata, anche se non per questo meno obbligante a fare il bene qui e ora: il bene possibile, il bene che dipende da noi, non quello dell’intero universo.
Senza alcuna pretesa di esaurire con queste brevi considerazioni la portata della citazione agostiniana da cui sono partito e ben sapendo che ogni volta che Agostino nomina il tempo tremano letteralmente le vene ai polsi, credo tuttavia che proprio queste considerazioni possano rappresentare una buona premessa per una dottrina sociale della chiesa non costruttivista e attenta invece al carattere fallibile, contingente, non deterministico dei fenomeni sociali. Lo stesso si potrebbe dire delle parole rivolte da Leone XIV il 17 maggio all’Associazione Centesimus Annus, allorché veniva sottolineato come la dottrina sociale della chiesa non intenda in alcun modo “innalzare la bandiera della verità”, ma indicare una strada, un approccio “critico”, al fine di elaborare “un giudizio prudenziale” che non “equivale a un’opinione, ma a un cammino comune, corale e persino multidisciplinare verso la verità”. Sono soltanto indizi, ma secondo me queste parole inseriscono la dottrina sociale della chiesa in un orizzonte epistemologico molto promettente. A maggior ragione se consideriamo, sono sempre parole di Leone XIV, che la verità di cui si parla “non ci allontana, anzi ci consente di affrontare con miglior vigore le sfide del nostro tempo, come le migrazioni, l’uso etico dell’intelligenza artificiale e la salvaguardia della nostra amata terra. Sono sfide che richiedono l’impegno e la collaborazione di tutti, poiché nessuno può pensare di affrontarle da solo”.
Più che di sbandierare la verità, si tratta dunque di cercare pragmaticamente le soluzioni prudenziali maggiormente conformi ad essa, nella consapevolezza della complessità dei problemi che sono sul tappeto nonché della pluralità, della precarietà e della parzialità delle soluzioni possibili. Una ricerca cooperativa della verità, se così si può dire, che riesce ad avvantaggiarsi del contributo di tutti, senza che si debba ritenere che per ogni problema esiste una e una sola soluzione possibile, né che tutte le soluzioni hanno lo stesso valore. Se così stanno le cose, azzarderei l’idea che il potente cristocentrismo che sembra contraddistinguere i primi passi del magistero di Papa Leone XIV stia come creando le premesse per una dottrina sociale che non soltanto non teme la multidisciplinarietà né il pluralismo degli approcci, ma li proclama come una sorta di effetto collaterale del cristocentrismo stesso, offrendoli come parte del suo patrimonio in difesa della dignità umana e della giustizia. Sarà anche presto per dirlo, ma credo che siamo di fronte a una svolta, al primo benefico effetto di quanto leone XIV ebbe a dire durante la messa di apertura del suo pontificato: “Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato”.