
Intervista
"La Chiesa lavori per rinnovare la fiducia incrinata con il mondo ebraico", dice il teologo Gregor Maria Hoff
La frattura dopo il 7 ottobre 2023, l'uso del termine "genocidio", le prospettive sul piano del dialogo. “L’attacco terroristico di Hamas non è solo un atto politico: mira a distruggere la vita ebraica. E interferisce con le relazioni cattoliche-ebraiche"
Roma. “Alcune dichiarazioni di Papa Francesco sono state inadeguate, altre inappropriate, perché il Papa, nella sua giustificata preoccupazione per tutte le vittime di questa guerra, non ha chiarito inequivocabilmente fin dall’inizio chi fosse il responsabile della situazione dopo il 7 ottobre: Hamas”. Il professor Gregor Maria Hoff, docente di Teologia fondamentale e Teologia ecumenica all’Università Paris-Lodron di Salisburgo, riflette con il Foglio sulla situazione del dialogo fra cattolici ed ebrei dopo il pogrom del 7 ottobre 2023. Hoff ha anche incarichi nella Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo presso la Conferenza episcopale tedesca. Gli chiediamo subito se ritenga che l’attacco terroristico di Hamas abbia rappresentato un punto di svolta nelle relazioni fra cattolici ed ebrei. Non sono infatti pochi, soprattutto nella Chiesa, coloro che considerano quanto avvenuto una questione meramente politica e quindi attinente alle relazioni fra la Santa Sede e Israele. Di teologico, insomma, non vi sarebbe nulla. Il professor Hoff non è d’accordo: “L’attacco terroristico di Hamas non è solo un atto politico: mira a distruggere la vita ebraica. Pertanto, interferisce con le relazioni cattoliche-ebraiche, poiché la Chiesa cattolica ha sottolineato l’importanza costitutiva dell’ebraismo per la Chiesa fin dal Concilio Vaticano II. L’impegno per la protezione della vita ebraica è quindi di cruciale importanza, anche in termini religiosi. Per questo motivo, gli ebrei giustamente registrano il comportamento e le espressioni della Chiesa cattolica dopo il 7 ottobre”.
Ma perché è così difficile, per Israele, accettare che il Papa – o i rappresentanti della Chiesa cattolica – menzionino nello stesso discorso le vittime ebree degli attacchi del 7 ottobre e le vittime palestinesi a Gaza? “Si tratta innanzitutto della sequenza degli eventi e delle conseguenze che ne sono derivate: il terrore genocidario di Hamas, affiancato da sostenitori in medio oriente. La reazione di Israele nella Striscia di Gaza colpisce la popolazione in un modo tale da sollevare la questione se Israele non abbia oltrepassato dei limiti”. “A mio avviso – continua il professor Hoff – ciò è accaduto troppo spesso. Tuttavia, bisogna sempre tenere presente che si tratta della lotta per la sopravvivenza di Israele, di fronte all’obiettivo chiaramente dichiarato di annientare lo stato di Israele e i suoi abitanti. In questo contesto, lo sguardo di Papa Francesco sulle vittime in Israele e a Gaza mantiene, nella sua simultaneità, un significato umanitario. Ciò che però, da una prospettiva ebraica, in parte è mancato, è la necessaria differenziazione nell’attribuzione delle responsabilità. Vi era la preoccupazione che tutto venisse trattato sullo stesso piano e ciò, dal punto di vista ebraico, trascura il fatto di chi, dal 7 ottobre, ha in mano la regia. Ed è Hamas, perché ha costretto Israele a reagire”.
Nel gennaio del 2024, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, constatò che erano stati compiuti “molti passi indietro” nel dialogo. Qualcuno sostenne addirittura che eravamo tornati indietro di sessant’anni, a prima della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate. “Il dialogo – dice Gregor Maria Hoff – prospera sulla fiducia. Laddove la fiducia nelle persone coinvolte vacilla, il dialogo religioso perde terreno sotto i piedi. I ‘passi indietro’ si riferiscono alla certezza, sorta per gli ebrei dopo il Concilio, di poter contare assolutamente sulla Chiesa cattolica, soprattutto con un Papa come Giovanni Paolo II. Ma non dobbiamo dimenticare che i risultati di Nostra Aetate sono stati chiaramente riconosciuti e teologicamente rafforzati anche da Francesco. ‘Dio continua a operare tra il popolo dell’Antica Alleanza’: questa affermazione dimostra che non c’è il minimo punto interrogativo dietro Nostra Aetate in termini teologici. Sessant’anni dopo il Concilio, è però necessario che la Chiesa cattolica compia passi per rinnovare la fiducia incrinata”.
Papa Francesco usò la parola “genocidio”, benché in un contesto ben preciso, chiedendo che si dovesse indagare per comprendere se tale definizione fosse o meno appropriata. E’ stato solo un errore linguistico? “Il riferimento al genocidio non è stato certo un errore linguistico. Il Papa si riferiva alla causa per genocidio intentata presso la Corte internazionale di Giustizia dell’Aia. Anche se non l’ha fatta propria direttamente, ne ha messo in luce la possibilità sotto una luce diversa. Chi parla di genocidio sa che è in gioco una strategia chiara, sia militarmente che politicamente. Francesco ha nutrito il sospetto che questo sia il caso riguardo a Israele. Lo ha fatto con l’autorità di Papa, ma anche con la responsabilità di capo dello stato vaticano. Non ha distinto tra le due funzioni, ma le ha confuse. Questo è un problema, perché in termini religiosi il Papa ha una responsabilità speciale nei confronti dei suoi fratelli e sorelle ebrei, e un’affermazione come quella sul genocidio ha conseguenze concrete per gli ebrei di tutto il mondo”.
In ogni caso, nonostante decenni di dialogo, sembra che sia sempre una sorta di mancanza di fiducia tra il mondo cattolico e quello ebraico. Come se mancasse sempre qualcosa... “C’è una fiducia crescente che si è dimostrata valida anche in altre crisi. Non ci sono solo il Vaticano e il Papa, ci sono un’infinità di gruppi di dialogo, compresi quelli organizzati istituzionalmente, come il Consiglio internazionale dei cristiani e degli ebrei, che si è appena riunito a Varsavia. Ci sono molti programmi di dialogo e collaborazioni accademiche: a questo livello, la fiducia che si è costruita insieme è perdurata e per certi aspetti è cresciuta durante questa crisi”.
E Papa Leone? Ha un atteggiamento diverso, magari nei toni? Secondo Hoff, “Papa Leone XIV è più riservato e cauto nel suo aspetto pubblico e nel suo stile rispetto al suo predecessore. Le sue origini di Chicago e la sua formazione universitaria suggeriscono che abbia una sensibilità religiosa nei confronti dell’ebraismo e che agirà di conseguenza. Il ricordo della conclusione del Concilio Vaticano II nel mese di dicembre lascia presumere che il nuovo Papa prenderà posizione, al più tardi allora, anche in merito alla Nostra Aetate – e ciò sia in riferimento al dialogo interreligioso, sia al rapporto ebraico-cattolico”.
La crescente influenza della destra religiosa ebraica, con molti suoi appartenenti che sono stati responsabili di violenze contro i cristiani, ha un impatto sul modo con cui il Vaticano e la Chiesa cattolica guardano a Israele? “Le escalation nazional-religiose dell’estrema destra in Israele sono da tempo un peso. Il governo di Netanyahu non solo tace per ragioni tattiche, ma concede loro spazio. Questo deve essere un motivo di tensione fra il Vaticano e il governo israeliano. Tuttavia, l’approccio prudente del patriarca latino Pizzaballa mostra anche quali opzioni d’azione esistano. Ma è necessaria un’azione chiara da parte del governo israeliano: la protezione delle minoranze religiose e dei loro diritti”.
Detto della situazione politica, quali sono gli ostacoli teologici che impediscono ancora una piena riconciliazione e amicizia fra cattolici ed ebrei? A giudizio del professor Gregor Maria Hoff, “la lotta comune contro ogni forma di antisemitismo include l’identificazione e l’eliminazione, da parte della Chiesa cattolica, delle ultime reliquie dell’antigiudaismo religioso. Ciò riguarda tracce nella liturgia, riguarda manufatti nelle chiese, riguarda modelli linguistici e di pensiero praticati – ad esempio nelle omelie, in cui appare ancora il presunto contrasto tra la religione cristiana dell’amore e la religione ebraica della legge. L’amicizia nasce dove viene vissuta – la comprensione di Dio come popolo comune deve quindi essere rafforzata anche sui cammini sinodali della Chiesa cattolica. Stare al fianco dei nostri fratelli e sorelle ebrei oppressi, sempre più sotto la pressione dell’antisemitismo in tutto il mondo, è l’unico modo per vivere un’amicizia duratura”.

L'editoriale dell'elefantino