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Leone XIV e la mediazione impossibile

Il Papa è disponibile, Zelensky è prontissimo. Il problema resta sempre la Russia, che tace

Matteo Matzuzzi

E’ durato quarantacinque minuti il colloquio privato fra il Papa e J.D. Vance, il vicepresidente degli Stati Uniti tornato a Roma per la seconda volta in meno d’un mese in occasione della messa d’inizio pontificato di Leone XIV. Vance era accompagnato dal segretario di stato Marco Rubio

Roma. E’ durato quarantacinque minuti il colloquio privato fra il Papa e J.D. Vance, il vicepresidente degli Stati Uniti tornato a Roma per la seconda volta in meno d’un mese in occasione della messa d’inizio pontificato di Leone XIV. Vance era accompagnato dal segretario di stato Marco Rubio, con il quale si è poi recato dal rappresentante per i Rapporti con gli stati, mons. Paul Richard Gallagher. Nel corso dei colloqui, dice il bollettino vaticano, “si è rinnovato il compiacimento per le buone relazioni bilaterali e ci si è soffermati sulla collaborazione tra la Chiesa e lo stato, come pure su alcune questioni di speciale rilevanza per la vita ecclesiale e la libertà religiosa. Infine, si è avuto uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte”. Il colloquio era atteso, anche per capire quale potrà essere il rapporto fra il primo Papa statunitense e l’Amministrazione trumpiana. Vance ha già invitato Leone XIV a Washington. Ipotizzare che questo colloquio potesse porre le basi di una mediazione della Santa Sede nel conflitto russo-ucraino, però, risulta azzardato. Un po’ perché lo sguardo del Pontefice verosimilmente ha abbracciato più fronti e più temi di comune interesse. 

 

Un po’ perché se è vero che Leone XIV ha offerto la propria disponibilità a ospitare negoziati e a farsi mediatore – “Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace”, ha detto in occasione del discorso per il Giubileo delle Chiese orientali – il problema resta sempre quello: la Russia. Volodymyr Zelensky si è detto fin da subito disponibile (e ha lodato pubblicamente Leone con tanto di messaggi su X che non avranno ammansito di certo il Cremlino), la Chiesa greco-cattolica ucraina è entusiasta dell’avvio del pontificato di Leone – “Io sono con il popolo ucraino”, ha detto il Papa ricevendo l’arcivescovo di Kyiv, Shevchuk –, ma da Mosca i segnali sono stati nulli. Se è fallita la mediazione turca di Recep Tayyip Erdogan a Istanbul, come si può pensare che Mosca affidi un ruolo decisivo al Papa di Roma, quando il clero nazionalista ortodosso lo considera un eretico? L’approccio senz’altro più morbido e prudente di Prevost può favorire un intervento della diplomazia vaticana, ma gli ostacoli restano tutti lì dov’erano anche prima dell’inizio del pontificato. 

 

Semmai, la visita di Vance può avere conseguenze sul piano interno americano, con gran parte del mondo Maga che – seguendo la “dottrina” di Steve Bannon – ritiene il nuovo Papa la peggiore scelta che il Conclave potesse fare. Un problema, insomma, rispetto ai piani trumpiani relativi all’immigrazione e alle scelte di politica industriale. Dopotutto, Robert Francis Prevost è colui che – nonostante il carattere mite e riservato – rispose a tono proprio a Vance su alti concetti agostiniani usati dal vicepresidente pro domo sua. Un Papa statunitense che capisce più di Francesco l’America yankee può servire in questa particolare fase politica globale, ma è tutto da dimostrare che le sue parole e opere saranno recepite dagli interlocutori. Intanto, l’obiettivo di stemperare i fronti di tensione degli ultimi mesi pare raggiunto: il presidente israeliano Herzog (assente ai funerali di Francesco, lo scorso aprile) domenica era a Roma e ha invitato il nuovo Pontefice a recarsi presto in Israele.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.