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la riflessione

Come rispondere senza tentennamenti al degrado militante dell'essenziale cristiano

Pietro De Marco

Non sarà negandosi che la Chiesa si paleserà per ciò che è. Piacere e compiacere, essere graditi, non significa essere riconosciuti. I primi passi di Leone XIV

Andrebbe detto più fermamente, anzi gridato sui tetti, che le “innovazioni” come i “percorsi aperti” dal pontificato di Francesco toccano questioni del tutto secondarie per la vita cristiana e la salus animarum. Un vero stravolgimento di priorità.

Il loro paradigma e obiettivo estremo sono rappresentati dai documenti guida del Cammino sinodale tedesco. Proclamava il documento base dei forum preparatori del 2019: “L’agenda delle riforme richiede una chiara analisi dei fenomeni di potere nella Chiesa cattolica, che oscillano fra responsabilità e rifiuto, accettazione e abuso. – L’estetica del potere si manifesta nella liturgia, ma anche – ben oltre – nella fisionomia della Chiesa cattolica. – La retorica del potere si manifesta nell’annuncio e nella catechesi, nelle dichiarazioni pubbliche, ma – ben oltre – nel linguaggio della Chiesa e della fede. – La pragmatica del potere si manifesta nelle forme organizzative e comunicative, nelle strutture del personale e nei processi decisionali, ma – ben oltre – nella forma sociale, culturale e politica della Chiesa”.

Un oltranzismo non solo fuori ma contro la Tradizione  e che adotta come forza d’urto una desueta nevrosi anti potere. Nonostante il candore con cui il popolo cristiano (se non i teologi) ne aveva recepito la formulazione, la “Chiesa in uscita” e “l’ascolto del mondo” sembravano praticare in maniera indolore quell’agenda. Alle spalle, nelle chiese, non restava granché; simulacri di rito, di dottrina, di sacerdozio, di pietà. L’asse verticale che collega cielo e terra, la civitas Dei in terris con la non meno agostiniana civitas angelorum et beatorum, asse e cordone ombelicale della vita dei cristiani, era ignorato. Solo salvato, per paradosso (perché residuo devozionale alla maniera del “popolo”), nella preghiera a Maria e ai santi.  

Sia chiaro, niente del programma di rovesciamento esplicito in queste linee, trovava consenso in Papa Bergoglio. Ma era come ne sentisse la pressione (conoscendone già e da tempo i termini, attivi negli anni Sessanta-Settanta) e si tenesse il più possibile lontano da quella “estetica” e “retorica” e “pragmatica”, come da atti colpevoli.  E parlava d’altro o con altro registro. Papa Prevost sa tutto questo.  

Ma, tralasciando il loro tetro ideologismo, che hanno a che fare quelle diagnosi con il mistero della Chiesa, con il culto a Dio, col flusso gerarchico della Grazia? Il recente modello tedesco di riorganizzazione “sinodale” delle Chiese locali non può essere neppure accostato, per dignità, alle classiche forme “presbiteriane” di organizzazione del calvinismo dissidente, perché quella organizzazione federativa, con la sua gerarchia di pastori, era radicata in una fede essenziale e in una predicazione appassionata e dottrinalmente provveduta (anche se cattolicamente non sufficiente). Nel linguaggio teologico dei documenti tedeschi, prodotti dalla pretesa “base”, la fides quae è generica, è ideologia, e la fides quaā, l’assenso, è deliberatamente secolarizzata nelle sue motivazioni – costituite da lotte contro x o y – e nei suoi obiettivi, la ricostruzione “dal basso”, in realtà da parte di assemblee elettive precostituite, delle forme di governo della chiesa. Che il Cammino sia stato insabbiato è merito, va riconosciuto, di un laborioso accordo tra la parte più responsabile della gerarchia tedesca e la Santa sede. Ma non ne è stata confutata l’ideologia. Joseph Ratzinger fu invece lucidissimo combattente su quei fronti di degrado, già sulla fine degli anni Sessanta.

A questo degrado militante dell’essenziale cristiano in conflitti potestativi appartengono le istanze che turbano e dividono la gerarchia cattolica: il sacerdozio femminile, e in subordine ruoli direttivi della donna nell’istituzione; la regolazione sacramentale e giuridica del matrimonio, la pastorale dei divorziati via via fino ai “matrimoni” tra persone dello stesso sesso. (Diversa è la questione, realmente primaria, della intangibilità del canone antropologico cristiano nelle materie sensibili, ovvero nell’area bioetica e biogiuridica, dal gender al post human. Qui è in gioco l’Uomo.)  

Perché degrado? Perché, da un lato, i problemi quotidiani (per quanto rilevanti) dei laici cristiani a confronto con ideologie e stili di vita, col mitico mondo moderno, prevaricano sulla vita sacramentale e soprannaturale; il progressismo post-conciliare non ha insegnato a chierici e laici che non devono essere ‘stranieri’ al Mondo?  D’altro lato, come avviene sempre entro le correnti innovative e le loro battaglie, per perseguire risultati spesso circoscritti si fa tabula rasa, mentale anzitutto, di dottrina e istituzione. Da ciò i simulacri di teologia che si aggirano negli ambienti “riformatori”.  Per l’affermazione dei “diritti” della donna e delle realtà lgbt nella Chiesa si procede, così, nel caso tedesco, a una manipolazione della sacramentaria, e non solo dei sacramenti dell’Ordine e del Matrimonio (fino a Confessione e Eucaristia, presentati come strumenti del potere clericale) ma anche della forma gerarchica, che è anch’essa, in una modalità peculiare, sacramento. Conta altro.

Dobbiamo affermare, invece, che questo livello delle cose che dividono è secondario, “penultimo”, nell’ordine della fede, che sia intesa come credendum non meno che come assenso della e nella persona (l’assent di san J. H. Newman) a ciò che è proposto a credere. Secondario nella vita del Corpo mistico in cui tutto è dono di Cristo, nulla procede da noi. Una frase fulminante di Giacomo Noventa mi segnò, da giovane: “Non si elegge Dio a maggioranza”.  Ma il “penultimo” divide non solo per i suoi contenuti particolari (una volontà mimetica degli ordinamenti civili nel Corpo mistico) ma perché i cristiani avvertiti colgono gli effetti distruttivi del ribaltamento: la caduta del dato rivelato e della vita spirituale e sacramentale al rango di realtà secondaria e disponibile.

Un pastore fermo nella fede, e dotato di cultura, non si spaventa delle “contestazioni” e non arretra su terreni in cui la violenza verbale e la lamentazione (sui “diritti” ad esempio) di minoranze prevalgono sulle ragioni obiettive e sull’essenziale della Rivelazione. Non cade nella trappola ideologica del dover essere “moderno”, “vicino agli uomini”, non pensa che la Chiesa sia “indietro di duecento anni” (una vera sciocchezza, ma non per questo meno grave). Esercita discernimento e misericordia con le risorse del diritto, della teologia morale, della adattazione pastorale caso per caso. Agirà anzitutto (lui e il suo clero) in foro interno. Darà spazio a tutto quanto è concesso all’autorità (l’epikeia), ma non concederà uno iota ad una logica estranea al Corpo mistico. Non dirà lo scriteriato “chi sono io per giudicare?”.   Sa che la Chiesa è costitutivamente, ontologicamente, ‘vicina agli uomini’ anzi per gli uomini e negli uomini, sempre e ovunque. Gloria e Grazia, circuito in cui è inscritta la Misericordia. Non sarà negandosi che la Chiesa si paleserà per ciò che è.  Piacere e compiacere, essere graditi, non è essere riconosciuti. Ora, gli atti iniziali di Leone XIV fanno pensare che saremo, siamo già, liberati dalla necessità di questi disperati promemoria dal basso cui la fedeltà cattolica ci ha costretti per oltre un decennio. E’ come essere usciti da un incubo.

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