Papa Leone XIV (LaPresse)

l'editoriale dell'elefantino

“Chi sono io per non predicare?”. La svolta agostiniana di Leone

Giuliano Ferrara

Il Santo di Ippona, le dispute dei gesuiti, Pascal e il peccato. Una specie di favoletta, estratta da un catechismo postridentino molto personale, che arriva alla differenza che c’è con il famoso “chi sono io per giudicare?”  

L’eminentissimo Matteo Zuppi, che resta un bel tipo, sapido e alla mano e furbo, anche se non lo hanno eletto Papa, ha svelato con fare spiritoso, tra il lusco e il brusco, un arcano, durante una concelebrazione della Madonna di san Luca, a Bologna, alla presenza vigile di quel vescovo agostiniano che sarà in breve il cardinale Prevost e poi Leone XIV: Agostino, ha detto, “è uno difficile”. In effetti il Santo di Ippona è sempre stato una risorsa immensa e un problema per la Chiesa cattolica. Sono cose complicate, che il Concilio di Trento, dopo la tempesta luterana, ha cercato di risolvere combinando insieme la Grazia divina, che non prevede a stretto rigore la compartecipazione della volontà umana, e il libero arbitrio, che Lutero aveva bruscamente negato opponendogli il servo arbitrio e una libertà del cristiano molto simile a un dolce ergastolo spirituale, salvo il miracolo della sola fede nella Scrittura che salva l’anima in un mondo agostinianamente definito dalla teoria della predestinazione. 
 

Ne so poco, pochissimo, ma ho l’impressione che tutto si giochi sul racconto del peccato originale, che la Chiesa dei buoni di spirito ispirati dai gesuiti, ferventi antiagostiniani, considera un “ferrovecchio” teologico. E sulla “concupiscenza”, parola desueta, forse anche eretica ormai in un mondo segnato dalla frivola ricerca del piacere e dall’indulgenza, Agostino, se non ricordo male, racconta che maschio e femmina abitatori dell’Eden si univano in modo paradisiaco, spontaneo, prima del famoso pasto o morso della mela, ma dopo l’esplosione della concupiscenza, roba di scelta tra bene e male appesi all’albero della conoscenza, ebbero bisogno del pudore, della foglia di fico, e della regola morale per dare una norma al desiderio. Era poi questo, malgrado ulteriori complessità, il peccato originale. Avendo scrutato dentro di sé, e sempre sperando che il cuore alla fine trovasse il suo riposo dove solo era possibile, cioè in Dio, con il quale parlava a preferenza dell’Altro, Agostino, che come San Paolo era un convertito e un peccatore piuttosto incallito, aveva trovato le mille inclinazioni alla trasgressione di ogni regola, compresi il furto e la fornicazione, e ne aveva fatto una specie di psicoanalisi mistica ante litteram. Questo maestro della tarda antichità, nel solco del teologo evangelico Paolo, apostolo delle genti, anche lui bestia nera dalla prosa “difficile” della cultura progressista, si era poi ripresentato nel mondo moderno con l’eresia del Cinquecento, lo scisma, e infine con la sottile e incandescente battaglia tra giansenisti e gesuiti (Giansenio e Pascal contro gli ignaziani protetti dalla loro intelligenza e dagli armigeri dei Re Luigi). 

Il gesuita è a suo agio, per quanto tormentato, nella missionarietà moderna, è consentaneo al mondo delle periferie e lo incultura del suo particolare modo di leggere il vangelo della relazione, sempre derubricando il peccato a banale errore (vedi le Provinciali), mentre gli agostiniani, anche quando dedicano la loro vita missionaria agli altri, sembrano mantenere quella riserva che è la loro interiorità (Agostino e Lutero furono geni teologici incontestabili, per quanto diversi), fonte di conoscenza dell’inesauribilità del peccato che il Francesco di Scalfari voleva, a quanto pare, abolire. E’ un po’ una favoletta estratta da un catechismo postridentino molto personale, ma non posso esimermi dal tornare sulla differenza tra il “chi sono io per giudicare?” e il “chi sono io per non predicare?”.

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.