Ansa

il nuovo pontificato

La svolta possibile di Papa Leone XIV

Claudio Cerasa

La rivoluzione del silenzio contro la dittatura del rumore. La svolta possibile di Papa Leo è nella lotta contro il frastuono che diventa verità

Rimbombo o contemplazione? Chiacchiera o meditazione? Caos o riflessione? Disordine o ascolto? Nella prima omelia pronunciata ieri da Robert Francis Prevost c’è un passaggio non rituale che, come scrive Matteo Matzuzzi, sintetizza in poche righe quello che potrebbe essere un elemento di discontinuità dirompente del pontificato di Papa Leone XIV. Papa Leo, come lo chiamano gli americani, riprendendo la lettera ai Romani di sant’Ignazio di Antiochia ha ricordato che c’è un momento in cui ci si può considerare veramente un discepolo di Gesù Cristo: “Quando il mondo non vedrà il mio corpo”. Il riferimento di sant’Ignazio, dice Papa Leo, richiama a un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: “Sparire perché rimanga Cristo”, “farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato”. Rimbombo o contemplazione? La prima possibile rivoluzione di Papa Leo è inscritta nella sua omelia ma è inscritta anche nella sua storia.

Un Papa arrivato al Soglio di Pietro senza aver mai inondato l’etere di interviste, senza aver mai lasciato traccia di un suo scritto, senza aver mai vergato un articolo, senza aver mai realizzato un libro, senza aver mai scritto una prefazione, senza aver mai utilizzato come una clava i social che pure aveva a disposizione. La rivoluzione del silenzio, all’interno della Chiesa, è un tema travolgente per un pontificato che cerca di trovare un nuovo equilibrio per  superare la stagione chiassosa del pontificato di Francesco. Il Wall Street Journal, con un editoriale quasi più profetico del lettore che tre giorni fa sul Foglio ha anticipato quale sarebbe stato il nome del Papa successore di Francesco, mercoledì ha ragionato sul tema del silenzio in modo sofisticato, spiegando come la dittatura del rumore, quando si parla di Chiesa, rischia di essere controproducente, di mettere in secondo piano la dottrina, in secondo piano i Vangeli e di trasformare il Santo Padre in una figura autoreferenziale al punto da costringere gli alti prelati a doversi esprimere più sulle sue parole, e sulla loro interpretazione, che su quelle di Cristo e la sua novella. Il Wsj, auspicando per il dopo Francesco un Papa silenzioso, ha ricordato che un Pontificato in cui il Santo Padre parla troppo rischia di finire come le monete erose dall’inflazione, e di perdere di valore. E indirettamente la cultura della quiete che si oppone alla dittatura del rumore richiama alla mente un libro del cardinale Robert Sarah, “La forza del silenzio” (Cantagalli, 2017), in cui Sarah, da buon conservatore, sostiene che il silenzio sia la protesta più radicale contro la mondanità. Sarah lo fa denunciando la liturgia ridotta a “festa comunitaria”. Lo fa ricordando che senza silenzio la preghiera diventa parolaia, superficiale, autoreferenziale.

Lo fa aggiungendo che quando la Chiesa parla troppo e prega poco rischia di diventare un partito, un movimento culturale, una ong. E lo fa sostenendo che quando la Chiesa sceglie di intrattenere piuttosto che custodire il mistero la liturgia smette di essere sacramento e diventa esibizione. La nostra epoca, dice Sarah, è afflitta da “una ferita purulenta di parole meccaniche, senza valore, senza verità e senza fondamento”. In questo senso, una Chiesa che si adatta al frastuono del mondo, che rincorre l’attenzione e il consenso, si rende non solo inefficace, ma infedele al Vangelo, secondo Sarah. La rivoluzione del silenzio è dirompente per la Chiesa, evidentemente, ma lo è anche per la contemporaneità. E non ci vuole molto a capire quanto provare a passare da un’epoca dominata dal rumore dei retroscena, e del pettegolezzo, a un’epoca meno chiassosa dominata dalla scena può aiutare la Chiesa a non vedere inflazionate le sue parole ma può aiutare anche l’occidente libero a ritrovare qualche anticorpo utile per provare a resistere a una deriva del presente: l’isteria di una contemporaneità dominata dalla dittatura del rumore, che trasformando la viralità in realtà si allontana semplicemente dalla difesa della verità.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.