
l'elezione del nuovo papa
Il Sinodo piomba sul Conclave
Dopo i discorsi su pace e migranti, i cardinali si ricordano che è in corso un processo sinodale che durerebbe (secondo le intenzioni) più del Vaticano II. Che influenza avrà in Sistina?
Il Sinodo sulla sinodalità non si è concluso, visto che tutti i temi più delicati e controversi sono stati depennati da Francesco, che li ha destinati all’approfondimento in specifiche commissioni. Diaconato, celibato, laicato, eccetera: i soliti temi di sempre. Mettere d’accordo l’Africa con l’Europa è complicato, lo sapeva Francesco prima di tutti
Dopo giorni a discutere del destino di Giovanni Angelo Becciu, con i cardinali delle cosiddette periferie sempre più insofferenti – “Quanto andrà avanti questa storia?”, domandava uno di loro al vicino di posto, curiale d’esperienza – gli interventi sono entrati nel vivo. Lasciata da parte almeno un po’ la retorica su poveri, ultimi, ambiente e pace nel mondo, è tempo di provare a delineare l’identikit di colui che raccoglierà l’eredità complessa di Francesco. Come prevedibile, man mano che ci si avvicina all’ingresso in Sistina, entra in ballo il tema della sinodalità. Molto caro ai porporati più lontani da Roma e un po’ meno – con qualche eccezione di peso – ai romani di curia. Il cardinale Jean-Paul Vesco ha fatto notare, en passant, che si sono svolte due assemblee sinodali nell’ultimo biennio e che lì i partecipanti erano stati messi tutti alla pari, “attorno a dei tavoli”. Altri cardinali hanno rimarcato quei momenti per loro lieti, che non possono essere esclusi o marginalizzati dalle discussioni circa il futuro Pontefice. Se ne è parlato ieri, abbondantemente, alla settima congregazione. Il Sinodo sulla sinodalità non si è infatti concluso, visto che tutti i temi più delicati e controversi – quelli che avrebbero portato a spaccature e drammatiche conte – sono stati depennati da Francesco, che li ha destinati all’approfondimento in specifiche commissioni che a breve avrebbero dovuto produrre le proprie risultanze. Diaconato, celibato, laicato, eccetera: i soliti temi di sempre. Mettere d’accordo l’Africa con l’Europa è complicato, lo sapeva Francesco prima di tutti, soprattutto dopo aver constatato l’opposizione furiosa alla dichiarazione Fiducia supplicans, scritta dal fidatissimo prefetto per la Dottrina della fede, Víctor Manuel Fernández. Una parte del Collegio è per andare avanti, premendo sull’acceleratore, anche a costo di qualche frattura. Lo ha fatto capire il cardinale Michael Czerny, gesuita, secondo cui quello dell’unità non può diventare un mantra. Se c’è, benissimo. Altrimenti serve coraggio. Ne è convinto un altro confratello ignaziano, il cardinale Jean-Claude Hollerich, mente finissima con il grande pregio di un eloquio chiaro e didascalico. Era uno dei mediatori spediti da Bergoglio in Germania per trovare una sorta di compromesso con i tedeschi, furiosi per gli stop romani sul loro Synodale Weg. L’altra sera, mentre in San Pietro si celebravano i novendiali con l’arciprete Gambetti, lui era altrove, una messa in contemporanea assai partecipata. Non era una candidatura al papato, queste cose non si fanno: ma era come il prendere le distanze da certi discorsi un po’ fumosi che girano attorno alla questione fondamentale senza entrarci con entrambi i piedi: cosa fare domani? Quale Chiesa si vuole presentare? Ecco perché la questione della sinodalità non può essere archiviata con la morte di Francesco, tutt’altro: le porpore latinoamericane – quelle che nella vulgata banalizzante possono essere definite le più progressiste – non hanno certo messo in disparte i desiderata emersi già al Sinodo sull’Amazzonia: una riforma pastorale della presenza della Chiesa nelle terre di missione e in quei contesti dove l’evangelizzazione è più complicata. Ed è su di loro (diciotto sudamericani e sei centroamericani) che in queste ore si sofferma l’attenzione degli analisti: come si comporteranno? Cercheranno una soluzione di compromesso o rivendicheranno le istanze a loro più care. Secondo un filone di pensiero, risulta complicato pensare che il consenso di questa parte di Collegio cardinalizio possa riversarsi, di colpo e senza dubbio alcuno, su profili curiali con nessuna esperienza alla guida di una diocesi (o di una parrocchia). Certo, potrebbe accadere, ma solo come punto di caduta, in caso di un Conclave che risultasse più difficile e frastagliato di quanto oggi sembri.
Altri, ritengono invece che per portare avanti i programmi più complessi serva proprio l’esperienza di un moderatore. Nel 2013, le congregazioni furono dominate anche dai programmi per il futuro Papa, come più volte ricordato da Francesco. E’ lì che nacque l’idea del C9, il “Consiglio della Corona” per riformare la curia e consigliare il Pontefice circa il governo della Chiesa universale. Accadrà qualcosa di simile anche questa volta? La riforma della curia – un lavorio durato poco meno di un decennio – ha prodotto la costituzione Praedicate evangelium, un documento pieno di errori (anche sostanziali) che ha finito con il creare più confusione di quanta ce ne fosse all’origine. Il C9 è quindi stata un’idea fortunata? Qualche cardinale proporrà qualcosa di simile? O, verosimilmente, si chiederà di mettere le cose in ordine prima di pensare ad altre innovazioni? Il punto di caduta, che inizia a essere sussurrato forse per vedere l’effetto che fa (sui media e sui cardinali più spaesati, e ce ne sono) potrebbe essere rappresentato da Mario Grech. Il segretario generale del Sinodo. Lodato per come ha condotto i lavori (ma in questi casi parlano solo i laudatores, gli altri preferiscono non esprimersi), ha tutte le caratteristiche affinché in Sistina qualcuno ci faccia più di un pensierino: 68 anni, europeo ma di “periferia” (è maltese), isolano del Mediterraneo, ponte fra l’Europa e l’Africa, curiale con esperienza diocesana, fedele alla linea di Francesco ma con misurata prudenza occidentale. All’ala conservatrice non piace, ma non è detto che se i grandi favoriti dovessero dimostrarsi più deboli di quanto si va dicendo in giro, la maggioranza “sinodale” non possa ritrovarsi su un cardinale che, tutto sommato, non crea troppo disturbo.


Saverio ma giusto
Il Vaticano è il paese che amo. Per questo scendo in campo come papabile
