Il quarto d'ora granata

Piero Vietti

Il presente può ricordare il passato. No, forse.

    Chiunque abbia avuto la sventurata fortuna di crescere con il Toro addosso e dentro sa che cos'è il quarto d'ora granata. E anche se non lo ha mai visto, è come se lo avesse vissuto sempre. E' storia antica, ormai, il quarto d'ora granata. Erano gli anni del Grande Torino, la squadra più forte d'Italia (dieci giocatori su undici in Nazionale, cinque scudetti vinti di fila, più altri record ancora oggi imbattutti), scomparsa a Superga, sulla collina di Torino, il 4 maggio 1949. Funzionava all'incirca così: se in un dato momento della partita il risultato non si era ancora sbloccato, o peggio il Torino era in svantaggio, il capitano Valentino Mazzola guardava la tribuna, e con un cenno invitava Oreste Bolmida, il trombettiere dello stadio Filadelfia, a suonare la carica. Il segnale erano le maniche della maglia granata che Mazzola si tirava su. Da quel momento non ce n'era più per nessuno: nel giro di un quarto d'ora il Torino ribaltava il risultato, segnando due, tre, addirittura sette gol. Altri tempi, altri giocatori, altra storia.

    Ecco, non c'entra ovviamente niente, non sto facendo paragoni né tantomeno penso che il presente possa lontanamente somigliare a quel passato, ma domenica il Torino a Bergamo perdeva 1-0 a metà del primo tempo. E alla fine ha vinto 5-1. I quattro gol decisivi per la vittoria li ha segnati in 14 minuti. Meno di un quarto d'ora. Il quinto gol lo ha segnato Rolando Bianchi, che così è arrivato a 70 gol in maglia granata. Decimo bomber di sempre della storia del Torino. Come Loik. Che giocava nel Grande Torino. Non c'entra niente, ma ogni tanto il destino si diverte a incrociare cose strane, nella storia di questa squadra.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.