Padellaro, la trattativa e la fine delle stragi

Massimo Bordin
In morte di Carlo Azeglio Ciampi, sabato scorso Antonio Padellaro ha ricordato sul Fatto la notte del luglio 1993 quando, dopo gli attentati di Roma e Milano, il governo rimase bloccato da un mai chiarito blackout delle comunicazioni.

In morte di Carlo Azeglio Ciampi, sabato scorso Antonio Padellaro ha ricordato sul Fatto la notte del luglio 1993 quando, dopo gli attentati di Roma e Milano, il governo rimase bloccato da un mai chiarito blackout delle comunicazioni. Quando Ciampi ne riparlò in una intervista, scrive Padellaro, corredò quel drammatico racconto con alcune domande. Perché dopo la nascita del suo governo, cominciarono gli attentati? E perché a un certo punto gli attentati finiscono? Padellaro individua nel processo alla cosiddetta trattativa il tentativo di dare risposta agli interrogativi così autorevolmente posti. La procura sul tema ha raccolto “una montagna di elementi”, assicura Padellaro, ma è più comodo per la stampa liquidare il processo come una stravagante trovata. A rischio di essere banali si possono però ricordare alcune date.

 

Le stragi del 1993 nascono dopo la cattura di Riina a gennaio di quell’anno. Dopo la vendetta per la sentenza definitiva del Maxiprocesso, nel ’93 i mafiosi giocano la carta disperata del terrore per ottenere revisioni processuali o almeno migliori condizioni carcerarie. Poi, dall’inizio del 1994, le stragi finiscono. Hanno raggiunto lo scopo? E’ la tesi del processo. Il fatto che dal ’93 al ’96 vengano arrestati tutti i capimafia stragisti, dai Brusca ai Graviano fino a Bagarella, spiega però in modo più lineare la fine delle stragi. Certo, restò ancora libero per molti anni Provenzano, che stragista non era. Fu quella la trattativa? C’è stato un processo in merito, e in primo grado e in appello la risposta è stata la stessa : no. La montagna di Padellaro ha partorito due assoluzioni.

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