“Keynesismo mafioso”

Massimo Bordin
“Keynesismo mafioso” , immagine usata ieri da Francesco Merlo su Repubblica, rende forse in due parole la logica sottesa all’idea della procura romana di imputare l’associazione mafiosa ad alcuni indagati dell’ultimo scandalo romano. “La politica? Io la facevo all’America.

    “Keynesismo mafioso” , immagine usata ieri da Francesco Merlo su Repubblica, rende forse in due parole la logica sottesa all’idea della procura romana di imputare l’associazione mafiosa ad alcuni indagati dell’ultimo scandalo romano. “La politica? Io la facevo all’America. Ma parlavo con Roosevelt. Qua non ci stanno soldi. Coi politici non si possono fare buoni business”. Così parlava Lucky Luciano con la voce di Gian Maria Volontè nel bel film di Rosi e Jannuzzi. Era l’Italia degli anni Cinquanta, dalla quale ancora molti emigravano. Non poteva esserci una Tammany Hall aperta agli amici di Luciano. Al massimo c’era palazzo dei Normanni. Oggi è diverso. Perfino con gli immigrati si possono fare “buoni business”. Una delle serie Sky, saldo riferimento teorico dei nostri tempi, spiega come sia possibile a un mafioso americano farli addirittura in Norvegia. Figuriamoci fra Roma e la Sicilia meridionale. Resta un problema. Per sostanziare l’associazione di stampo mafioso sarebbe utile alla procura, se non un Lucky Luciano, almeno un tipo alla Pippo Calò. Siamo sicuri che la famiglia Fasciani di Ostia possa bastare?