Attivisti pro life davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti il 12 ottobre 2021 a Washington DC (foto di Alex Wong/Getty Images) 

Vinta la grande battaglia, in America c'è poca voglia di marciare per la vita

Marco Bardazzi

Lo strano cinquantesimo della sentenza Roe v Wade. Cambiano i tempi, la sfida contro l’aborto non è più giudiziaria ma politica. Non è più una guerra federale, è diventata una battaglia da combattere nei vari stati. E d’un tratto diventa obsoleta pure la stessa March for Life

Per decenni il punto di arrivo era sempre stato la Corte suprema. Migliaia di persone sfilavano sul Mall di Washington e arrivavano di fronte alla celebre scalinata e al palazzo con la facciata da tempio greco, per urlare la loro richiesta, sempre la stessa: “Cancellate Roe v Wade!”. Adesso però che la storica sentenza che aveva sancito il diritto all’aborto è stata davvero cancellata, anche la Marcia per la Vita dopo 49 anni ha cambiato itinerario. Ieri si è conclusa non più guardando la scalinata della Corte, bensì il dirimpettaio Capitol Hill, la sede del Congresso. 


E’ un segno del cambio dei tempi, la sfida contro l’aborto non è più giudiziaria ma politica. Soprattutto non è più una guerra federale, è diventata una battaglia da combattere nei vari stati. Una decentralizzazione che ha reso d’un tratto obsoleta pure la stessa March for Life, una tradizione del mondo anti abortista che riunisce ogni anno anche migliaia di studenti delle scuole cattoliche e delle varie denominazioni cristiane. Già quest’anno in molti tra gli attivisti pro life si sono interrogati sulla necessità di continuare a marciare ed è probabile che la Marcia sia arrivata all’ultima edizione. 

 
Il 2023 del resto è l’anno giusto, da un punto di vista simbolico, per dare una svolta al movimento: domani, 22 gennaio, saranno esattamente 50 anni dal giorno in cui fu pronunciata per 7-2 la sentenza Roe v Wade. “Jane Roe” era lo pseudonimo dietro il quale si nascondeva Norma McCorvey, la ragazza che aveva fatto causa allo stato del Texas, rappresentato dal procuratore Henry Wade. L’aborto fu definito un diritto costituzionale fondamentale e sulla base della sentenza fu costruito il sistema pro choice contro il quale per cinquant’anni si sono battuti gli antiabortisti, spalleggiati soprattutto dal partito repubblicano. 

 
In realtà era una sentenza fragile, che è franata non appena la Corte ha avuto una solida maggioranza conservatrice e un caso ideale per attaccarla. L’occasione è arrivata con la vicenda Dobbs v Jackson Women’s Health Organization, che lo scorso giugno si è trasformata in una sentenza per 6-3 che ha cancellato il diritto all’aborto. 
Ciò che è successo nei sei mesi tra quella sentenza e la Marcia per la vita di ieri, racconta però uno scenario in cui nessuna delle parti in causa canta vittoria. I repubblicani e il mondo pro life sono rimasti quasi spiazzati dal successo e devono ancora decidere cosa farne: in assenza di un nemico, quale era Roe, non è più chiaro neppure se vale la pena marciare. Sul piano politico, la sentenza Dobbs ha creato più problemi che opportunità ai repubblicani. L’analisi del voto di Midterm dello scorso novembre mostra con chiarezza che l’aborto è stato uno dei principali temi che hanno motivato i democratici e li hanno portati alle urne. 

 
Il partito di Donald Trump dall’estate scorsa ha smesso di parlare di lotta all’interruzione di gravidanza. L’aborto è diventato un tema tabù per i repubblicani in campagna elettorale e gli strateghi del Grand Old Party hanno fatto di tutto per cercare di spostare il tiro sull’economia o l’immigrazione. Ma in molti casi hanno fatto un’enorme fatica. 
In Pennsylvania, lo stato decisivo per le elezioni di metà mandato, il candidato di Trump al Senato, Mehmet Oz, ha tentato di non prendere posizione sull’aborto, ma si è scontrato con la netta difesa di Roe del suo avversario, John Fetterman, che ha vinto anche grazie alla mobilitazione dei democratici sull’aborto.  In Kentucky, California, Vermont gli elettori hanno approvato provvedimenti a tutela del diritto all’aborto e battaglie simili sono ora in corso in vari stati. Significativo è quello che è accaduto in Michigan, dove la governatrice Gretchen Whitmer ha travolto con dieci punti di distacco la rivale repubblica Tudor Dixon grazie all’ondata dei democratici mobilizzati sull’aborto. 

  
Il tema ora è che impatto avrà il mondo post Roe sulla corsa alla Casa Bianca, che potrebbe avere proprio la Whitmer tra le protagoniste. Domani a ricordare il cinquantesimo anniversario di Roe sarà la vicepresidente Kamala Harris, con un discorso in Florida che sembra studiato proprio in chiave elettorale. Tra i repubblicani invece c’è pochissima voglia di marciare “per la vita” e alla Camera, passata sotto il loro controllo, di tutto vogliono parlare fuorché di gravidanze. Dopo cinquant’anni passati a inseguire una vittoria, adesso chi l’ha ottenuta sembra volerla disconoscere.

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