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punto di non ritorno

Dal dibattito sul fine vita uscirà stravolto, in ogni caso, il ruolo del medico che cura il malato

Ferdinando Cancelli

L’Italia potrebbe distinguersi da molti paesi europei per civiltà e umanità promuovendo un dibattito culturale allargato sull’accompagnamento ai morenti e un attivo sostegno alle famiglie dei malati gravi. Forse non è ancora troppo tardi

Le commissioni Giustizia e Affari sociali hanno dato il via libera alla discussione parlamentare della proposta di legge “disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” che arriverà alla Camera lunedì 13 dicembre. Allo stato attuale della discussione è difficile farsi un’idea precisa del testo che sarà discusso in aula dal momento che, rispetto alla proposta di legge giunta alle commissioni il 19 maggio 2021, sono state considerate alcune proposte di riformulazione che dovrebbero entrare nel testo finale. Non si può non tenere quindi alta l’attenzione e restare con il fiato sospeso di fronte a una delicatissima discussione spesso condotta da chi non ha la minima idea di che cosa realmente succeda ai letti dei malati gravi. Una discussione che verterà tra l’altro, per la prima volta nel nostro paese, sulla concessione al medico del diritto di procurare la morte di un paziente richiedente mediante la prescrizione di un farmaco letale.

    

Prima quindi di soffermarsi sul come e sul quando bisognerebbe, senza anestesie, mettere a nudo l’enormità di un passo che stravolgerà completamente il modus operandi storico di una professione, quella medica, finora e almeno in Italia, sempre e solo volta all’accompagnamento dei malati, sia di quelli destinati a guarire sia di quelli destinati a morire. La discussione che inizierà lunedì sarà quindi in ogni modo triste, se non altro perché oggetto del contendere non sarà cercare di trovare soluzioni per far vivere nel modo migliore possibile ma organizzare efficacemente il sistema per far morire chi, disperato, ce lo chiede.

 

Nessun trionfalismo, nessuna vittoria, nessun progresso: sarà la morte l’esito finale concesso e questo deve bastare per seguire i prossimi giorni a capo chino.

  

Ci sarà la possibilità per il personale sanitario di fare obiezione di coscienza? Sembra di sì, a leggere la proposta di riformulazione che vuole introdurre l’articolo 5 bis.

Sarà introdotta una “e” al posto di una “o” tra le parole “patologia irreversibile” e “prognosi infausta”? Anche in questo caso probabilmente la risposta sarà affermativa ma comunque lascia l’amaro in bocca.

   

In un momento in cui il nostro paese sta brillando nel mondo per determinazione, organizzazione e sistematicità nel tentativo di sconfiggere un virus che sembra non mollare mai, sembra quasi ironico impegnarsi in una discussione per facilitare la morte assistita di chi ce lo chiede. L’Italia potrebbe, dopo la legge 38 del 2010 sulle cure palliative, distinguersi ancora una volta da molti paesi europei per civiltà e umanità promuovendo un dibattito culturale allargato sull’accompagnamento ai morenti e una vera e attiva diffusione, su tutto il territorio, di una medicina per i viventi, in qualsiasi situazione essi si trovino. Troppe volte vediamo ancora famigliari lasciati soli a occuparsi di malati gravissimi, troppe volte assistiamo alla solitudine di pazienti morenti seguiti con superficialità da personale numericamente scarso e poco motivato per offrire loro cura e speranza, troppe volte c’è nella gente lo smarrimento di non saper cosa fare quando, dimesso senza spiegazioni un loro caro da un reparto ospedaliero, si richiude la porta di casa. 

    
Forse è tardi, il dibattito sulla proposta di legge ha preso un’altra direzione, si è allineato con quello di molti paesi che devono a ogni costo progredire verso una fallace conquista di civiltà. In ogni caso i malati e le loro famiglie devono sapere che c’è ancora chi vorrebbe aiutarli a percorrere una strada diversa, a guardare la morte restando vivi fino alla fine.
 

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