Alla ricerca del figlio perfetto: la gravidanza è sempre più medicalizzata

Roberto Volpi

Diventare madre significa perdere per 9 mesi ogni identità

Sono pochi, pochissimi, è fuori discussione: 473 mila nati nel 2016 in un paese di 60,5 milioni di abitanti. Ma chi è che ha voglia non dico di fare – ché, un figlio, ancora molto spesso lo si fa – ma di replicare – e non si dica poi di triplicare – gravidanza, nascita e svezzamento di un figlio oggi? In questi tempi iper moderni che ti obbligano a seguire e inseguire tutti i comandamenti e le regole, in continua evoluzione e complicazione, per avere e crescere un figlio fisicamente perfetto – non semplicemente sano, troppo ovvio, ma niente di meno che perfetto? Che cos’è diventato, oggi, portare un figlio in pancia e partorirlo e proteggerlo come neppure una specie in via d’estinzione nei primi anni di vita? Un percorso di guerra. Sono mestieracci, ormai, quelli legati ai figli. Prima ti dicevano ch’era difficile crescere un figlio. Oggi l’orologio non già biologico ma delle convenienze e consuetudini medico-sanitarie, che sia detto con tutto il rispetto sono un’altra cosa, è stato posizionato all’indietro fin dove è stato possibile e perfino di più.

 

Non è difficile allevarlo, un figlio, è diventato difficile anche soltanto prefigurarselo. Perché gli ammonimenti prendono il via che ancora non siete del tutto sicuri neppure di volerlo, un figlio, e, ammettendo che lo siate, non siete comunque sicuri che riuscirete nell’intento. Si comincia dalle compresse di acido folico per prevenire la spina bifida, da assumere già mesi, almeno uno, meglio tre, prima di rimanere incinte. Pensate di avere un figlio e volete rischiare che il feto che arriverà mostri quel terribile difetto che porta questo nome e che, in alcuni casi, quando il tubo neurale è del tutto aperto, è incompatibile con la vita? La spina bifida colpisce un concepito su 2.000-2.500. Da trent’anni si insiste sull’acido folico, le ricerche non sono chiarissime, i risultati pratici meno ancora, della spina bifida non si segnala, a stare a Eurocat, il registro europeo dei difetti congeniti, il minimo abbassamento del tasso annuo di incidenza. Ma tant’è: ancora non avete del tutto formato il progetto di figlio nella vostra mente che già il refrain gira e gira: una mamma come si deve, cosciente, consapevole, dice il refrain, non manca di assumere le compresse giornaliere di acido folico pure se ancora la congiunzione di ovulo e spermatozoo è nel mondo dei sogni.

 

Benvenute e benvenuti, dunque, nel “mondo dei rischi che debbono essere evitati affinché il bambino che deve nascere nasca sano – anzi, perfetto”. Un mondo che per puntare dritto al risultato costringe l’aspirante mamma a una snervante gincana tra una girandola d’impegni che non conosce pause. Una volta si diceva si riposi, signora, niente sforzi, niente pensieri, niente stress, si lasci andare ai piccoli piaceri della vita, che non abbia a soffrirne l’esserino ch’è in pancia. Riposo? Piccoli piaceri? Quando mai. Oggi tutto è traguardato, e annotato con tanto di matita rossa e blu, in termini di rischio. E dunque controllare compulsivamente l’esserino amniotico, punto primo; ostracizzare senza pietà ogni atteggiamento, stile di vita, consumo della portatrice dell’esserino amniotico che possa anche lontanamente danneggiarlo, punto secondo. Eccoli, gli assi cartesiani del percorso di guerra che si chiama gravidanza.

 

Si prenda il consumo di alcolici. Oggi i medici delle equipe ostetrico-ginecologiche hanno sposato la linea dell’intransigenza totale, una linea che non è avvalorata da alcuna ricerca epidemiologica, da alcuno studio statistico-sanitario che dimostri come una modica quantità di alcol pregiudichi in qualche sia pure inavvertibile misura l’andamento della gravidanza e la salute del feto. Quasi tutti questi medici raccomandano dunque alla donna in gravidanza non soltanto di non fumare ma di non bere un goccio, mai. Si arriva fino a sconsigliare, se non proprio a proibire, l’uso del prezzemolo, giacché se assunto in quantità industriali suscitatore di aborti spontanei, così come il consumo di frutti a polpa rossa, come fragole, susine, arance, perché ricche, si argomenta, di sostanze responsabili di allergie alimentari che potrebbero finire dritte nell’organismo fetale provocando chissà quali scompensi allergologici.

 

Per tutto c’è un rischio. E’ un rischio non cuocere o non lavare frutta e verdura o, su un altro piano, quello di tingersi i capelli e spalmarsi certe creme sul corpo o, su un altro ancora, quello di trafficare con lavori di giardinaggio o tenere gatti in casa (ah, la subdola toxoplasmosi sempre in agguato). Nella selva sempre più inestricabile dei rischi da schivare per arrivare al traguardo del figlio perfetto, il ruolo assegnato dalla medicina alla donna in attesa è diventato puramente ancillare. La sua volontà non conta pressoché nulla, i suoi desideri hanno diritto di cittadinanza soltanto se coincidono con le supposte necessità del feto, i suoi bisogni debbono immancabilmente cedere il passo a quelli di ordine superiore del bambino che deve nascere. La donna in gravidanza semplicemente non esiste, se non come “fattrice” del bambino. La sua propria esistenza è sospesa, in libertà vigilata, messa tra parentesi; ripiglierà a tempo debito.

 

E i divieti vanno a braccetto coi test, gli esami, i controlli. Divieti e test si sorreggono vicendevolmente proprio come i coniugi di una fiabesca vita di coppia. Per esempio, l’attenzione che una donna in gravidanza deve porre agli zuccheri è passata al setaccio della cosiddetta “curva glicemica”, un test per verificare il metabolismo degli zuccheri in cui ti danno da ingurgitare un bicchierone d’un rivoltante, appiccicoso intruglio denso come melassa.

 

Per tutto c’è un test, un esame. Test ed esami sono disposti sulla base delle risultanze delle visite medico-ginecologiche. A loro volta le visite medico-ginecologiche tendono sempre più a procedere assieme alle ecografie. Il risultato finale è un numero medio di ecografie in gravidanza che tende a coincidere con il numero di visite ginecologiche, che vanno fatte con cadenza mensile. Dunque la media di visite ed ecografie in gravidanza viaggia inesorabilmente verso un numero di otto sia per le une che per le altre.

 

Alla medicalizzazione eccessiva della gravidanza (giudizio motivato con tanto di dati dall’Istat in “Gravidanza, parto e allattamento al seno”, del 2014) si aggiunge la medicalizzazione del parto. Non c’è solo un eccesso di parti cesarei, c’è un eccesso di pratiche mediche tout court anche nel parto che pure non presenta complicazioni di sorta. Venti anni fa l’Oms ha prodotto una guida pratica dove si dichiara che, al fine di garantire una nascita sicura per madre e bambino, certe pratiche ostetriche sono suggerite solo in casi particolari. Per esempio la “rottura artificiale delle membrane”, “il monitoraggio elettronico fetale”, “l’episiotomia” (l’incisione chirurgica della regione pubica per facilitare il passaggio del feto). Ma nonostante queste indicazioni, 73 partorienti su 100 riferiscono almeno una delle procedure assistenziali suddette.

 

E che dire della medicalizzazione del bambino, quando finalmente arriva? L’indagine Istat sul ricorso ai servizi sanitari rivela, fatti un po’ di calcoli, che da zero a quattordici anni i figli sono sottoposti a una media di cinque visite l’anno, tra generiche e specialistiche, con tutto quel che ne consegue in termini di esami diagnostici ulteriori e cure mediche.

 

E’ fin troppo evidente come, a partire dalla gravidanza, la donna che vuol farsi mamma entra nella fase del moto perpetuo per inseguire il traguardo del figlio perfetto, gettando altresì le basi di una “moderna sottomissione” della sua vita alla dittatura del figlio. Ed è così che questa pretesa della perfezione (che non disdegna, tutt’altro, il ricorso all’Ivg ove la diagnosi prenatale certifichi un qualche difetto congenito) ha finito per smarrire, nei tanti meandri d’una pratica medica sempre più asfissiante e artificiosa, ogni slancio autentico e senza calcoli, ogni leggerezza verso il figlio. Sconsigliando tante donne dal mettersi nell’impresa e tante altre che ci si sono messe dal replicarla. Medicalizzazione sempre più spinta e figlio perfetto: ecco dunque la coppia che gioca un ruolo decisivo nell’irresistibile declino della fecondità non solo italiana, l’insospettabile killer che finirà per colpire al cuore l’occidente.

Di più su questi argomenti: