Il piccolo Charlie Gard (foto Facebook)

La battaglia fra genitori e medici per far vivere il piccolo Charlie

Redazione

Secondo i dottori il bambino di 7 mesi, affetto da una malattia incurabile, deve essere staccato dai macchinari. Ma padre e madre si oppongono 

Qualche giorno fa Connie Yates and Chris Gard si sono ritrovati davanti ad un giudice dell'alta corte inglese. E lui, guardandoli, ha esordito: "È la situazione più tragica che mi sia mai capitata. Terribile. Vorrei dirvi anzitutto che provo i vostri stessi sentimenti". Parole che testimoniano che non sarà affatto semplice decidere. Scegliere se Connie e Chris hanno il diritto di mantenere in vita il loro bambino di 7 mesi, Charlie. O se come sostengono i medici dell'ospedale Great Ormond Street di Londra, bisogna staccare la spina.

 

Perché Charlie, nato lo scorso 4 agosto, è affetto da una malattia incurabile: una sindrome da deperimento mitocondriale. Una malattia estremamente rara che colpisce le cellule causando un progressivo indebolimento dei muscoli e degli organi vitali. Charlie è una delle 16 persone nel mondo che ne sono affette. E non sembra esistere una cura in grado di evitare l'epilogo più tragico. La morte.

 

Anche per questo i medici pensano che occorra interrompere la vita di Charlie staccando i macchinari che gli permettono di sopravvivere. Ma i genitori non sono d'accordo. Anzi, hanno lanciato una raccolta fondi con l'hashtag #Charliesfight per poter portare il bambino degli Usa dove verrebbe sottoposto ad un trattamento sperimentale. Ad oggi hanno già ricevuto donazioni per 280 mila sterline, ma ne servirebbero 1,2 milioni (per il trasferimento occorrono un aereo privato e attrezzature ad hoc).

 

Sia Connie che Chris sostengono che il bambino, nonostante la malattia e le resistenze dei medici, stia bene e non soffra. La struttura sanitaria è invece convinta che far trascorrere i giorni significa non tenere conto del bene del bambino. Il caso verrà esaminato entro l'inizio di aprile e non sarà semplice rispondere ad una domanda che, anche in Italia, nelle ultime settimane è tornata prepotentemente d'attualità: chi può decidere quando una vita sia degna di essere vissuta? 

 

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