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La banalità del Nobel
La nomina di Giorgio Parisi alla commissione antidoping non è una gaffe, ma lo specchio di un paese che confonde il sapere con la celebrità e la scienza con il divismo. Non un errore burocratico ma un tratto antropologico
La situazione patafisica ingenerata dalla nomina di Giorgio Parisi a capo della commissione ministeriale antidoping, forse al posto di un omonimo specialista, la dice lunga sul rapporto che gli italiani intrattengono col sapere. Tutto ruota attorno al divismo, per cui in ogni settore viene individuato un campione a cui si fa ricorso come nume tutelare (esempi a bizzeffe: Alessandro Barbero per la storia, Carlo Rovelli per la fisica, Samantha Cristoforetti per l’astronomia, Christian Greco per l’egittologia, eccetera). Menzionare i loro nomi conferisce a chi ne fa uso una fumosa autorevolezza, benché gli stessi interessati si affannino a replicare che sì, loro saranno pure eccellenti, ma per fortuna biblioteche e laboratori italiani pullulano di specialisti altrettanto bravi che però, non essendo famosi, restano del tutto ignoti al pubblico della borghesia semicolta.
Pazienza, è come se non esistessero: è lo stesso criterio per cui gli italiani, onde mostrarsi eruditi, si limitano a citare di un autore sempre e soltanto le parole del titolo più celebre di un libro che probabilmente non hanno letto (esempio: quando si cita Hannah Arendt, si dice sempre “la banalità del male”).
A ciò si aggiunge una robusta dose di provincialismo, per cui in Italia il malcapitato Giorgio Parisi era ignoto ai più prima di ricevere il Nobel, ma è improvvisamente diventato un vanto nazionale una volta ottenuto il riconoscimento dell’accademia scandinava.
Il tutto si impianta sulla sana diffidenza che da sempre gli italiani nutrono nei confronti delle scienze dure, convinti come sono che la cultura coincida con quella umanistica, e che di conseguenza la fisica, la biologia, la chimica, la medicina e tutto ciò che si fa con provette e numerini sia in realtà un unico immane pastone, una grigia terra di nessuno su cui si estende l’autorità di scienziati a caso, purché famosi. Basta considerare questi aspetti lampanti e si capisce come la nomina ministeriale di Giorgio Parisi non sia stata un errore: è la diretta conseguenza del nostro carattere nazionale.


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