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Come è cambiato il senso del Natale interiore

Antonio Gurrado

La tracotanza dei nostri tempi spiegata con un albero e un presepe

“Ti auguro di essere te stesso”, recita il festone luminoso che decora l’albero di Natale in piazza Duomo, a Milano. Non solo è la prima volta in vita mia che vengo insultato da un vegetale (se quell’albero mi conoscesse davvero, saprebbe che augurarmi di essere me stesso è un pessimo consiglio) ma tutta quella luce mi rende lampante come ormai sia cambiato il senso del Natale interiore: non più bontà, non più rinascita, ma un generico “Continua così che vai bene”, anche se essere te stesso significa che sei un criminale.

 

Albero o presepe, nord o sud, non cambia niente: leggo che i mastri artigiani di Napoli sono subissati di richieste di statuine a immagine e somiglianza del committente. E anche qui resto spiazzato.

Da un lato la tendenza ad attualizzare il presepe (mettendoci celebrità tipo Fedez o Giorgia Meloni), la tendenza a personalizzarlo (mettendoci, che so, un astronauta o un travet), mi sembra un ottimo modo di cogliere la portata universale del Natale, il fatto che Gesù si sia incarnato non solo per pastori e re magi ma anche per astronauti e travet, per Fedez e per Giorgia Meloni, quindi in definitiva anche per me e per voi.

Dall’altro, però, tutta quest’insistenza sull’io io io, questa smania di comparire come guest star all’interno del proprio stesso presepe, incarna soltanto la tracotanza dei tempi. Tempi ottusi nel non capire che se tutti sono vip allora nessuno né nulla è davvero importante, nemmeno Gesù; tempi ignoranti nel disconoscere che il Natale è eterno ma anche storico, un preciso istante cristallizzato in cui né io né voi c’entriamo nulla. Ma vallo a spiegare, nel presepe degli egocentrici, alle statuine del popolo bue e del popolo asinello.

 

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