Lo striscione dei giocatori rossoneri sul pullman partito da Casa Milan direzione Duomo. Uno sfottò riferito all'Inter (ANSA/FOTOGRAMMA) 

bandiera bianca

Il calcio è l'ultimo carnevale che ci è rimasto (ma presto non si potrà più)

Antonio Gurrado

Stigmatizzare l’invito a mettersi la Coppa Italia su per il tafanario è un po’ come credere che i tifosi del Milan siano tutti satanisti in quanto sventolano vessilli col diavolo; significa eliminare dal linguaggio il contesto, la figurazione, la retorica

Attinge a nuove vette la questione quodlibetale su dove sia lecito e opportuno ficcarsi la Coppa Italia (a fronte dei rivali che vincono il campionato), quindici anni dopo quella similare sulla miglior collocazione dello scudetto (a fronte dei rivali che vincono la Champions). Si parla di telefonate di scuse, indagini federali, ondate di indignazione in tutta la popolazione fatti salvi noi quattrocentomila che ieri saltellavamo da Casa Milan a piazza Duomo.

 

Finirà probabilmente nel nulla – stavolta non mi pare verosimile una riassegnazione dello scudetto a tavolino – ma intanto sarà stato inferto un ulteriore colpo allo spirito del calcio, ormai unica ridotta del carnascialesco. Chi c’era ieri aveva ben chiaro l’essere il calcio una gran mascherata: il corteo regio di ventenni tatuati, la pletora di tifosi travestiti da calciatori, le facce dipinte con colori tribali, la ragazza vestita solo di una bandiera rossonera, la ritualità delle salmodie oscene, l’analisi sommaria dello stato di famiglia di Çalhanoğlu. Puro e semplice rovesciamento temporaneo dei canoni, come ci aveva insegnato Michail Bachtin: un tempo c’era la satira ma ora non si può più, un tempo c’era la goliardia ma ora non si può più, è rimasto il calcio ma presto non si potrà più.

 

Stigmatizzare l’invito a mettersi la Coppa Italia su per il tafanario è un po’ come credere che i tifosi del Milan siano tutti satanisti in quanto sventolano vessilli col diavolo; significa eliminare dal linguaggio il contesto, la figurazione, la retorica. Quando invece quell’esortazione è l’unico sincero riconoscimento, benché pecoreccio, all’esistenza dei rivali; molto meno ipocrita di un tweet complimentoso.

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