Jeasn Pierre Franque, Il Grand Condé alla battaglia di Lens, 20 agosto 1648, grandiosa vittoria sulle truppe spagnole comandate dall'arciduca Leopoldo d'Asburgo 

Bandiera Bianca

Letta e il principe di Condé

Antonio Gurrado

“Letta cita Manzoni”, sintetizzano i giornali italiani nell’esegesi collettiva delle prime informali parole del nuovo segretario Pd.Sicuri si possa ridurre tutto a quella frasettina dei Promessi sposi?

Sarò pessimista ma odo sinistri scricchiolii nell’esegesi collettiva delle prime informali parole di Enrico Letta ai giornalisti, quell’“Ho dormito come il principe di Condé” in cui tutti hanno riconosciuto la citazione dal Manzoni. Tutti ma proprio tutti (Ansa, Agi, Rai, Sky, Corriere, Repubblica, Riformista, Huffington Post…) hanno rilanciato la boutade con un bel “Letta cita Manzoni”.

 

Sono certo tuttavia che nella mente di Letta – intellettuale di respiro europeo, accademico di solida francofilia, punta di diamante di Sciences Po a Parigi – il Gran Condé sia qualcosa in più che una frasettina di Manzoni, per giunta dal secondo capitolo dei “Promessi sposi”, per giunta dall’incipit del secondo capitolo, che è più o meno dove gli studenti italiani si addormentano anche loro, senza però svegliarsi mai più.

Letta avrà presenti le fonti primarie di quell’altro gran francofilo del Manzoni; quanto meno l’oraison funèbre di Bossuet, o il “Parallèle de M. le Prince et de M. de Turenne” di Saint-Évremond (che è citato anche nella Treccani: alle volte basta aprire l’enciclopedia), per non dire delle varie fonti settecentesche secondo cui il Gran Condé non chiuse occhio, mentre il duca di Guisa se la dormiva della grossa. E indubbiamente Letta avrà presente la rilevanza del Gran Condé nella storia e nella cultura francesi, dal matrimonio con la nipote di Richelieu alla fronda nobiliare del 1650, dagli alti incarichi sotto Luigi XIV alla fallimentare spedizione bellica contro l’Olanda di Guglielmo d’Orange: Saint-Évremond diceva appunto che il Gran Condé sapeva vincere le battaglie ma non le guerre. E dunque perché non azzardare un “Letta cita Bossuet”, un “Letta cita Saint-Évremond”?

 

I casi sono due. O Letta aveva in mente tutti questi sottintesi ma alla stampa è bastato lo spazio di una domenica mattina per dimenticare che è un intellettuale di respiro europeo, un politologo francofilo, e per iniziare la sclerotizzazione delle sue idee, la sua riduzione al compitino, al programma di seconda superiore, al facile plauso per chi ha addirittura letto i “Promessi sposi”, pensate un po’. Oppure Letta aveva davvero in mente proprio Manzoni perché voleva esordire con una citazione facile facile per scendere dal piedestallo accademico e tendere una mano verso, che so, i Cinque Stelle. Ma in tal caso avrebbe fatto meglio a limitarsi al programma di terza media.

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