Vorrei spezzare una lancia in favore di Naomi Ishiguro, figlia di Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura 2017 nonché uno dei più grandi scrittori del mondo. Dev’essere terribile esordire in narrativa con un cognome così ingombrante. Dev’essere tremendo pubblicare una raccolta di racconti a ventisette anni e, l’anno dopo, il primo romanzo; dev’essere stato un trauma concedere subito lunghe interviste a grandi quotidiani. Dev’essere stato un grande sacrificio studiare scrittura creativa pur di guadagnarsi da vivere e lavorare, leggo, da biblioterapista pur di sbarcare il lunario. Dev’essere una sofferenza indicibile vedere il pubblico che si accalca agli eventi letterari in cui dialoga col padre; dev’essere una gran vergogna vedersi subito tradotta in italiano da Einaudi, nella stessa collana che ha eternato il genitore. Ah, se solo non fosse stata figlia di un premio Nobel per la letteratura, nonché di uno dei più grandi scrittori del mondo! Allora sì che avrebbe potuto realizzare il sogno di venire dimenticata o ignorata dagli editori, di sgomitare per affermarsi fra mille insidie e delusioni, di essere troppo stanca per mettersi a scrivere dopo aver lavorato tutto il giorno, di lasciar perdere e mettersi a fare altro cercando di non pensarci. Ah, se solo fosse stata figlia di un anonimo o di un disoccupato o di un illetterato! Naomi, lo dico per il tuo bene: quando vuoi, facciamo cambio.
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