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La polemica su Tiziano Ferro testimonial dell’Università Cattolica è sintomo di una superficialità tutta italiana

Antonio Gurrado

La polemica su Tiziano Ferro testimonial dell’Università Cattolica – che ha causato il famigerato occhiello di Libero su “un gay per l’ateneo dei preti” – è sintomo di una superficialità che va ben oltre l’occasionale infelicità nella scelta di termini con intento dispregiativo (sia “gay” sia “preti”) e il becero paralogismo sottinteso al titolo (“gay” e “preti” nella stessa frase, wow).

  

Un concetto che in Italia proprio non si riesce ad accettare, pur non avendo niente a che vedere né coi gay né coi preti, è che una persona costituisca la propria identità anche in base a ciò che ha studiato e dove. Di conseguenza è normale che ciascuna persona maturi un sentimento di riconoscenza nei confronti dell’ateneo che l’ha formato, contribuendo alla definizione della propria identità, e ricambiare facendo da testimonial per futuri studenti che potrebbero beneficiare degli stessi vantaggi iscrivendosi a quell’ateneo. Naturalmente questo basilare principio passa inosservato in una nazione in cui nessuno si cura del cursus studiorum dei personaggi pubblici, in cui nella mentalità comune la laurea è un pezzo di carta e un’università vale l’altra, e in cui i leader dei quattro principali partiti politici, che si contendono un buon 80 per cento dell’elettorato, non sono nemmeno laureati.

  

Per l’opinione pubblica dovrebbe essere parte integrante dell’identikit di una persona di rilievo – un Colao, un Conte, un Malagò, tanto per dire – l’università in cui ha studiato, e la sua stessa attività meritoria dovrebbe costituire di per sé una pubblicità per la rispettiva alma mater. Invece non è così, e le università si vedono costrette a ricorrere a testimonial che abbiano presa su un’opinione pubblica svagata e ingenua: donde la scelta, ad esempio, di Tiziano Ferro, un’ottima persona la cui laurea tuttavia non sarà stata decisiva ai fini della carriera di cantante. E quindi, se proprio vogliamo cavare un titolo di giornale da questa bazzecola, la questione non dovrebbe essere che i preti scelgono un testimonial gay ma che gli italiani sono talmente affezionati all’ignoranza che, per pubblicizzare un’università, un cantante ha più eco di un manager, di uno scienziato, di un raro esemplare di politico laureato

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