Luca Leiva e Krzysztof Piątek (foto LaPresse)

Lazio-Milan e il sovranismo a bordocampo

Antonio Gurrado

Sui cartelloni pubblicitari le aziende comunicano orgogliose la loro “italianità” come sinonimo del loro essere “di qualità”

Ieri ho guardato Lazio-Milan e, sarà che era Coppa Italia, sarà che a tratti mi annoiavo, per la prima volta ho notato il sottile sovranismo dei cartelloni a bordocampo. A beneficio di milioni di telespettatori, un’azienda ferroviaria vantava di essere la firma italiana dell’alta velocità, una ditta di bricolage si qualificava come il fai da te 100 per cento italiano, un’agenzia di giochi virtuali mi esortava a divertirmi nel casinò online numero uno in Italia e una casa d’abbigliamento, dovendo darsi un tono, mescolava patriottismo e provincialismo con l’etichetta Italian clothing. Non so quando, esattamente, il termine “italiano” sia diventato equivalente a “di qualità”, radicandosi sul sottinteso che gli stranieri, se cercano di venderci qualcosa, vogliano per forza fregarci. Me li vedo dunque, i miei compari telespettatori, persuasi a rifuggire il clothing d’oltreoceano, sospettosi dell’alta velocità francese, convinti che gli italiani facciano bene a giocare tutti su un casinò online, certissimi che, se si azzarderanno a piantare un chiodo svedese o tedesco, allora sicuramente si smartelleranno il dito. Magari credono davvero che l’autarchia elevi la qualità degli acquisti. Non so però quanto li avrebbe entusiasmati, ieri sera, la stessa identica partita senza Piątek, Paquetá, Milinković-Savić, Lulić, Kessié, Bakayoko, Suso, Lucas Leiva, Strakosha e altri scadenti prodotti del calciomercato estero.

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