Luigi De Magistris (foto LaPresse)

La filosofia secondo Luigi De Magistris

Antonio Gurrado

A Napoli iniziano le celebrazioni per il trecentocinquantesimo anniversario della nascita di Giambattista Vico. E il sindaco prova  a passare da Giggino ’a manetta a Giggino ’o metafisico

Inizia in questo mese di maggio la lunga teoria di celebrazioni per il trecentocinquantesimo anniversario della nascita di Giambattista Vico, che avrà inevitabile epicentro a Napoli. Perfino Luigi De Magistris ci ha tenuto a onorare l’occasione, dichiarando ai giornalisti che “la filosofia è un tratto distintivo dei napoletani, che la coltivano nell’anima e nel cuore. Grazie a essa continuiamo a costruire una narrativa diversa della città che comunica al mondo intero umanità e cultura”. La supercazzola del sindaco, forse nel vano tentativo di passare da Giggino ’a manetta a Giggino ’o metafisico, costituisce una singolare definizione postmoderna della filosofia. Anzitutto la svilisce a espediente, trasformandola in arte di arrangiarsi ovvero in quel prenderla con filosofia che sarebbe tipicamente partenopeo. Poi la lirizza in sentimento anema e core senza considerare che, se così fosse, anziché la “Scienza nuova” Vico avrebbe scritto “Torna a Surriento”. Dice infine che la filosofia serve a mutare l’immagine della città nel mondo rendendola esportatrice di cultura e umanità: non esattamente ciò che accadde però a Vico, il quale nacque povero in un basso dei decumani e, dopo una vita da filosofo, altrettanto negletto vi morì. Vico ammoniva di guardarsi dalla “boria dei dotti”, ossia dalla tentazione di rendere valore universale le caratteristiche di un singolo popolo; figuriamoci dalla boria dei non dotti.

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