Cresce il numero di diciottenni senza patente. Ed è una buona notizia

Antonio Gurrado

È la prima avvisaglia della consapevolezza che la libertà consiste nell'avere qualcosa in meno

La notizia sull'aumento della percentuale di diciottenni senza patente forse non è nemmeno una notizia, poiché si reitera ormai da quattro o cinque anni; va letta allora come tendenza se non proprio come segno dei tempi. Nell'Italia dell'accumulo, per decenni la patente è stata il simbolo materiale del conseguimento della libertà: guidare un'automobile consentiva al maggiorenne di andare dove voleva, non subire le mattane dei mezzi pubblici, appartarsi con la morosa, fare il ganzo con gli amici. In generale, all'urgenza della patente dei diciottenni sottostava l'idea che convenisse prenderla perché non si sa mai: un'emergenza, un treno perso, una gita fuori porta, un lavoro fuori mano; impara l'arte e mettila da parte. Nazione storicamente povera, l'Italia è stata a lungo radicata nella convinzione che la libertà consistesse nell'avere qualcosa in più. Probabilmente i cervelli vergini dei diciottenni d'oggi hanno notato che la patente consente di pagare i parcheggi, pagare il garage, pagare il bollo, pagare l'autostrada e naturalmente pagare per l'ottenimento e il rinnovo della patente stessa, in un continuo flusso di denaro dalle mani del guidatore verso canali plurimi quando invece basterebbe chiamare un taxi (addirittura un Uber) e togliersi il pensiero una tantum, se proprio non bastano piedi e biciclette. Magari i più rivoluzionari reputano che un luogo non raggiungibile senza guidare in proprio non meriti di essere raggiunto: se i mezzi pubblici lo scansano concordemente, un motivo ci sarà. La notizia sull'aumento della percentuale di diciottenni senza patente è la prima avvisaglia della consapevolezza che la libertà consiste nell'avere qualcosa in meno. Quando la patente sarà il capestro di una minoranza demandata a guidare per mestiere a beneficio altrui, sarà il segno che l'Italia è diventata una nazione ricca.

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