Un gruppo di partigiani festeggia il giorno della Liberazione

Consigli di lettura all'italiano medio che ogni 25 aprile parla di libertà senza capirla

Antonio Gurrado
Domanda: perché i più accesi nel riempirsi la bocca con la retorica della Liberazione sono gli stessi che si esprimono con maggiore intolleranza in favore di nozze gay e vari diritti derivati? E perché costoro sono così in tanti da presumere di parlare a nome di tutti?

Domanda: perché i più accesi nel riempirsi la bocca con la retorica della Liberazione sono gli stessi che si esprimono con maggiore intolleranza in favore di nozze gay e vari diritti derivati? Sono due variabili indipendenti o le connette un fattore che non scorgo? E perché costoro sono così in tanti da presumere di parlare a nome di tutti? Trovo risposta dove non me l’aspetto, nella storica riedizione Mondadori di “Tre imperi… mancati” di Aldo Palazzeschi, settant’anni dopo la prima e ultima pubblicata da Vallecchi. Siamo nel capitolo dedicato all’italiano medio e alla sua passione per le feste civili, religiose e così così: “Libertà, indipendenza”, scrive Palazzeschi nell’estate del 1945, “gli piacciono come parole il cui significato non si è mai curato di approfondire, nomi bellissimi a cui dedicare grandi strade o piazze. Anima musicale, ama le parole per il loro suono”. Poche righe dopo aggiunge: “La famiglia gli va bene e la posizione di tirannello in quel piccolo cerchio lo mantiene purgato e in equilibrio e lo ripaga, forse inconsciamente, della mancata indipendenza in una cerchia superiore”.

 

All’italiano medio, che ciancia di liberazione e di diritti, l’ampliamento indiscriminato del concetto di famiglia fornisce l’opportunità di estendere sulle più diverse e imponderate combinazioni la gittata del proprio manganello, e lo persuade di star difendendo, a parole, una libertà che non capisce ma di cui gli piace il rumore che fa quando la suona in testa agli altri; una libertà che si illude di conseguire commemorandone ogni 25 aprile il mancato compimento.